È audace il libro «Mistica degli occhi aperti» di Johann Baptist Metz. Profetico di quella profezia che non di rado si eclissa nei libri di alcuni teologi di professione dietro le fasi lunari di un’erudizione lodevole ma non di meno arida e disincarnata. La sua proposta di «mistica degli occhi aperti» intende far convergere, attraverso un’analogia eloquente mistica (spesso raffigurata con gli occhi chiusi al mondo) e occhi aperti, ovvero attenzione al mondo, alla storia, all’uomo e agli echi del mistero dell’Incarnazione.
Seppure il libro – Mistica degli occhi aperti. Per una spiritualità concreta e responsabile, Queriniana, Brescia 2013 – sia una raccolta di brevi saggi, interventi, discorsi, meditazioni, si scorge un concatenamento e una convergenza di visuale che rendere difficile la lettura selettiva di alcune parti a scapito di altre. Si è infatti attratti, dall’inizio alla fine, dal magnetismo autenticamente cattolico, di quel cattolicesimo raro ma indispensabile, che con un solo sguardo ingloba Dio e l’uomo, l’amore del cielo e la fedeltà alla terra. Ci troviamo simultaneamente dinanzi a un ascolto della fede, dell’al di là, dell’Eterno e auscultazione del secolo, dell’al di qua, del tempo. È autenticamente cattolico perché interrompe teologicamente «il dualismo sempre crescente tra storia della fede e storia della vita, tra mondo della fede e mondo della ragiona, tra professione di fede ed esperienza» (5).
Il grido della terra
Da degno figlio teologico e spirituale di Karl Rahner, Metz non presenta una spiritualità del concreto all’acqua di rose, ma radica – avvalorando – la spiritualità nel tronco solido e fecondo e radicale della teologia. Così la spiritualità forgiata non svolge la «funzione tappabuchi» in un mondo ormai post-religioso. Non si presenta neppure come un’alienante tranquillizzante, ma si erge come spinta, anzi come viscerale esigenza ed efficace scossa per un impegnativo risveglio. In questa prospettiva, non guarda alla giustizia come una mera esigenza sociale-etica, ma come un tema strettamente e profondamente teologico.
«Deus et iustitia est». Nella Bibbia è radicata la convinzione che il Signore è nostra giustizia e la teodicea non può considerarsi compiuta se gira le spalle alle sofferenze del mondo e se tappa le orecchie alle grida degli Abel di questa terra. «Il primo sguardo di Gesù è uno sguardo messianico. Non è prima di tutto per il peccato degli altri, ma per la loro sofferenza (17). Gesù offre e perfeziona nella sua persona il paradigma di «una mistica biblica della giustizia; è la passione di Dio nel senso di compassione, di mistica pratica della compassione» (18). C’è da chiedersi perché come cristiani abbiamo più parole per i rei colpevoli piuttosto che per le vittime innocenti! Eppure, il Cristo apparteneva rigorosamente alla seconda categoria, seppure abbia sop-portato il giogo dei colpevoli, divenendo «peccato per noi»! Il Cristo-servo-sofferente e agnello-immacolato è l’argomento teologico per dirci che nel mondo non esiste sofferenza che non ci riguardi!
Tra apocalittica e tempo
La critica di Metz include anche il rapido e abitudinario slittamento teologico verso l’eschaton. Siamo tragicomicamente apocalittici nella nostra lettura della storia, soprattutto nelle sue miserie e soffriamo senza saperlo di eccesso di platonismo-medio, specie nella sua «funesta detemporalizzazione» della visione del mondo.
La teologia politica si pone come istanza critica e come frizione che intende arginare questo facile e precoce slittamento nell’eterno. La polis, il tempo esistono e le sofferenze che l’uomo di ogni tempo e di ogni epoca sopporta meritano una degna risposta teologica, perché «il Dio biblico non è un’idea platonica, ma […] un pensiero pratico fin da principio» (41) e perché «la passione di Cristo è inserita nella storia di passione degli uomini» (64). E forse abbiamo bandito con troppa superficialità dal nostro annuncio cristiano «il grido degli uomini nelle abissali storie di dolore del nostro mondo» (65) divenendo difatti sordi al dolore e alla P(p)assione e muti alla consolazione e alla com-P(p)assione.
Verso una mistica del volto…
La mistica cristiana non è una mistica senza volto. A differenza delle religioni dell’estremo oriente, nella mistica cristiana il principio personale – l’io – non si dissolve misticamente, ma è coinvolto e acquisisce un volto da protagonista nella Teodrammatica della storia. Vi è un imprescindibile volto emotivo nell’esperienza del credente lo interpella e lo coinvolge in una «mistica della compassione» che non è altro che l’eco della «commiserazione di Dio che viene esperimentata e si conferma come compassione». In questa mistica «si attua drammaticamente l’incontro con il Cristo della passione. Qui incomincia la sequela, la sequela del Cristo sofferente – altrimenti la sequela non si realizza» (68).
La ricerca del Volto espressa nei Salmi («Il tuo volto io cerco») e che trapela anche nei vangeli («vogliamo vedere Gesù») non avviene se non in un autentico incontro con il volto degli altri. «Buddha medita, Gesù grida. La mistica delle tradizioni bibliche è, nel suo nucleo centrale, una mistica che cerca il volto, non è una natura priva di volto o una spiritualità cosmica dell’assoluta totalità. Buddha medita, Gesù grida. L’ultimo (quarto) viaggio di Buddha termina dopo le esperienze, per lui dolorosissime, sofferte dinanzi al dolore, al bisogno e alla morte degli uomini, con un ritorno alla meditazione che cerca redenzione. L’ultimo viaggio di Gesù finisce con un grido che cerca un volto: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Il centurione che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: ‘Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!’”» (105-106).
… e degli occhi aperti
Gesù non fu un politico, ma il suo messaggio ha una sua imprescindibile dimensione politica, una dimensione di attenzione alla polis, alla città degli uomini amati da Dio fino al telos.
La figura del Logos incarnato contagia e delinea il logos della teologia cristiana tracciando i lineamenti stilisticamente chiari e teologicamente vincolanti di «una mistica degli occhi aperti che sa com-patire» (81). Nella prospettiva cristiana, «chi di “Dio” non deve chiudere gli occhi. Il cristianesimo non è un cieco incanto dell’anima, ma insegna una mistica degli occhi aperti» (101). Nella sua sequela di Cristo, il cristianesimo – anzi ogni singolo cristiano – è chiamato a incarnare e concretizzare la sequela nell’assunzione dello sguardo salva-guardante di Gesù.
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Il libro è disponibile su Queriniana e Amazon.