Il 14 e 15 gennaio scorsi il popolo egiziano è tornato alle urne per esprimere, per la sesta volta in tre anni e attraverso lo strumento referendario, il proprio assenso alla nuova Carta costituzionale. Il responso, comunicato sabato pomeriggio in conferenza stampa, al termine di cinque giornate caratterizzate anche da tragici episodi di violenza e spargimenti di sangue, ha confermato le tendenze dei giorni precedenti che anticipavano la massiccia vittoria del fronte del “Si” ottenuta con il 98,1% dei consensi, registrando un’affluenza del 38,6% su 53 milioni di votanti, superiore a quella della precedente consultazione referendaria che era stata pari al 33%.
Il nuovo Testo costituzionale composto da ben 247 articoli, oltre a sostituire la precedente Costituzione a forte impronta islamista approvata poco più di un anno fa dalla coalizione del deposto Mohammed Morsi leader della Fratellanza Musulmana, fa intravedere interessantissimi e positivi scenari sia sul fronte interno che su quello regionale ed internazionale.
Già dal preambolo, infatti, si ha contezza di avere a che fare – parafrasando la prof.ssa Valentina Colombo – con un «testo rivoluzionario» da cui si potrebbe desumere che l’intensione dei redattori sia stato quello di restituire al Paese quel ruolo di centralità ed importanza strategica che tanto la storia quanto la geografia gli hanno precedentemente conferito. In tal senso, significativi sono i riferimenti a “Nostra Signora la Vergine Maria e suo figlio accolti sul suo suolo” da parte di quegli egiziani “morti martiri a migliaia per difendere la Chiesa del Signore il Messia“; quanto quelli relativi a Mosè e al ruolo avuto dal Paese nell’essere “culla della religione” e “simbolo della maestà delle religioni monoteistiche“.
La nuova Carta, inoltre, rimodula il ruolo dell’Islam attraverso un’interpretazione più aperta e riformatrice della Sharia e la messa al bando dei partiti politici basati sulla religione, rafforza i poteri del Presidente e garantisce all’esercito un margine di manovra ancora più ampio rispetto al passato. In particolare, oltre a poter scegliere il ministro della Difesa, che resta in carica per due mandati presidenziali indipendentemente dal Presidente, i militari hanno il pieno controllo del bilancio della Difesa e sono dalla costituzione autorizzati ad arrestare e giudicare i civili con tribunali militari soggetti alla legge marziale.
Se è vero che questo provvedimento consente ai generali il mantenimento di un maggiore controllo sulla Nazione, è altrettanto vero che al contempo potrebbe rappresentare un elemento di garanzia e di stabilità per il Paese, idonei a traghettarlo fuori dalla crisi sociale ed economica in cui è precipitato. Tale tesi risulta essere ancor più persuasiva se si considera che proprio i generali, per via del ruolo avuto negli ultimi 60 anni, detengono una buona fetta dell’economia produttiva del Paese, senz’altro utile in questo momento a garantire all’Egitto un’efficace ripartenza.
Tra i contenuti del nuovo Testo costituzionale spiccano, senz’altro, anche il riconoscimento della libertà di credo religioso quale un principio «assoluto» e la libera costruzione di edifici di culto cristiano la cui realizzazione sarà regolamentata con apposita legge dello Stato. Questi principi, oltre ad aver garantito il massiccio sostegno delle minoranze religiose, e in particolare di quella dei copti che rappresentano il 10% della popolazione egiziana, se opportunamente disciplinati dal legislatore, potrebbero aprire nuovi fronti di dialogo e cambiamento capaci di influire incisivamente anche sui labili equilibri geopolitici regionali.
Questa analisi non è peregrina se si considera il ruolo che l’Egitto occupa nello scacchiere regionale. Infatti, oltre ad essere un’importantissima porta di accesso al Mediterraneo, al continente africano e alla regione mediorientale, è il Paese arabo più popolato dell’area e più progredito dal punto di vista dello statalismo, oltre ad essere storicamente centro propulsore di nuove tendenze politiche. A tal proposito basti pensare al ruolo avuto da Il Cairo quale centro d’integrazione del mondo arabo durante la Presidenza Nasser o la forza data dalla rivoluzione egiziana alle Primavere Arabe.
L’Egitto, pertanto, se riuscisse a rimettersi in piedi dal punto di vista economico e a far fede ai principi costituzionali che si è posto, potrebbe diventare un importante attore di “dialogo” per l’intera partita mediorientale, sancendo la fine della violenza settaria. Forse anche per questo Vladimir Putin, attento ai cambiamenti geopolitici in atto, è stato il primo a congratularsi per il successo elettorale con il generale Abdel Fattah Sisi.