In attesa di conoscere gli esiti dell’inchiesta su Medjugorje della Commissione internazionale capitanata dal cardinale Runi, si apre uno spiraglio su un altro affaire vaticano rimasto in sospeso nel tempo: l’operato della Chiesa durante la tragedia della Shoa. È notizia recente, infatti, che Papa Francesco abbia deciso di aprire al più presto gli archivi segreti della Santa Sede relativi al periodo dell’Olocausto, in modo da chiarire come si comportò la Chiesa in quel periodo di di buio e, soprattutto, in che modo agì il pontefice allora regnante, Pio XII. Un tema, questo, al centro di una aspra diatriba tra critici e storici lunga decenni.
A riverare le intenzioni del Santo Padre è stato nei giorni scorsi il rabbino Abraham Skorka alla rivista Sunday Times. Il rettore del Seminario rabbinico di Buenos Aires, da tempo amico intimo di Bergoglio, dopo aver incontrato il Pontefice venerdì, ha affermato: “Credo che aprirà gli archivi, la questione è molto delicata e dobbiamo continuare ad analizzarla”.
Nonostante la dichiarazione del rabbino abbia catturato l’attenzione della stampa mondiale, in realtà non rivela nulla di nuovo, considerando che sono ormai più di sei anni che il Vaticano lavora per rendere disponibili tali carte. “Mi sembra che non ci sia nessuna particolare novità”, ha minimizzato infatti il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi: “L’orientamento all’apertura degli archivi vaticani, man mano, e dei diversi fondi riguardanti il pontificato di Pio XII ancora chiusi, è un orientamento seguito da decenni dalla Santa Sede e più volte ribadito”.
“L’apertura – ha tuttavia precisato Lombardi – richiede, però, tempi tecnici per il lavoro di ordinamento dei documenti, prima di permetterne la consultazione”. D’altronde si tratta ‘solo’ di circa sedici milioni di fogli, più di 15 mila buste, 2.500 fascicoli, provenienti da fonti diverse: Segreteria di Stato, Congregazioni della Curia romana e nunziature. “Gli archivi – conclude il portavoce vaticano – dovrebbero essere aperti una volta che, completato l’ordinamento, siano effettivamente consultabili”.
La decisione di Francesco sembra essere l’ennesimo segnale della volontà di ridare alla Chiesa un’immagine totalmente trasparente. Già da cardinale aveva espresso il desiderio di rischiarare le zone d’ombra di questa dolorosa vicenda. Nel libro del 2010 “Il cielo e la terra”, stilato a quattro mani proprio con il rabbino Skorka, l’arcivescovo di Buenos Aires scriveva infatti: “Quello che lei dice sugli archivi della Shoah mi sembra giustissimo. È giusto che si aprano gli archivi e si chiarisca tutto. Che si scopra se si sarebbe potuto fare qualcosa e fino a che punto. E se abbiamo sbagliato in qualcosa dovremo dire: ‘Abbiamo sbagliato in questo’. Non dobbiamo avere paura di farlo”.
“L’obiettivo – proseguiva Bergoglio – deve essere la verità. Se iniziamo a occultare la verità neghiamo la Bibbia. Bisogna conoscere la verità e aprire quegli archivi. Bisognerebbe leggere cosa c’è scritto… Capire se si trattò di un errore di visione o cosa accadde realmente. Non sono in possesso di dati concreti. Finora le argomentazioni che ho sentito a favore di Pio XII mi sono sembrate forti, ma devo ammettere che non sono stati esaminati tutti gli archivi”. L’allora porporato si riferiva naturalmente a quella parte degli archivi che – come diceva padre Lombardi – sono ancora in ‘disordine’ e che, proprio per questo, potrebbero generare ulteriore confusione. In ogni caso, secondo Bergoglio, la Chiesa, “non deve aver paura della verità, che è l’unico fine”.
Stando sempre alle dichiarazioni di Skorka, l’urgenza del Pontefice di riaprire il caso, è dovuta al fatto che il Papa vorrebbe pubblicare i documenti riservati in modo da dare via libera al processo di canonizzazione di Pacelli, evitando inutili polemiche circa la sua posizione negli anni della “soluzione finale” nazista. Come nel 2009, quando il riconoscimento delle “virtù eroiche” di Pio XII fu una ‘miccia che fece esplodere dure critiche sulla sua inadempienza e sul suo “silenzio” durante la Shoah. Addirittura, lo Yad Vashem (il museo dell’Olocausto a Gerusalemme) giudicò “deplorevole” che venissero riconosciute tali “virtù” prima della pubblicazione di “tutti i documenti”.
Ma la discussione va avanti da anni e anni: da un lato, c’è chi accusa Pio XII di aver fatto poco e nulla per contrastare la Germania nazista e il suo piano di annientamento della popolazione ebraica, e di non aver impedito la deportazione degli ebrei romani, il 16 ottobre 1943. Dall’altro lato, c’è chi difende a spada tratta il Pontefice – non si può non citare a riguardo il lavoro decennale svolto da suor Margherita Marchione – e ricorda come, su indicazione del Vaticano, chiese e conventi salvarono migliaia di vite, nascondendo e assistendo nelle loro strutture donne, uomini, famiglie, anziani e bambini ebrei sfuggiti al Terzo Reich.
L’esame finale voluto da Francesco probabilmente decreterà quale delle due fazioni abbia ragione. Secondo studiosi e insiders vaticani non si aggiungerà molto alla già ampia “sintesi” pubblicata in dodici volumi nel 1965, dal titolo Actes et documents du Saint Siège relatifs à la Seconde guerre mondiale. Intanto tutto ciò dovrebbe accadere prima del viaggio papale in Terra Santa, in programma dal 24 al 26 maggio, durante il quale Bergoglio visiterà proprio lo Yad Vashem. Si spera quindi che avrà ‘le carte in regola’ per pronunciare una parola di rammarico o di plauso per l’azione dello Santa Sede in quegli anni di nefandezze.