I rappresentanti delle diverse confessioni cristiane presenti a Roma si incontreranno giovedì 23 gennaio alle ore 18.30 nella parrocchia dei Santi Martiri dell’Uganda (via Adolfo Ravà), per chiedere il dono dell’unità, ispirati dalle parole della prima Lettera ai Corinzi di san Paolo: “Cristo non può essere diviso”. L’occasione: la Veglia ecumenica diocesana che tradizionalmente si svolge nel cuore della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio); presiederà la liturgia il vescovo Paolo Schiavon, ausiliare per il settore Sud, predicherà il pastore anglicano Boardman.
«Le offerte raccolte durante la preghiera - anticipa monsignor Marco Gnavi, incaricato dell’Ufficio diocesano per l’ecumenismo e il dialogo che promuove l’iniziativa - verranno devolute al carcere di Rebibbia». Papa Francesco chiuderà l’Ottavario sabato 25 gennaio alle 17.30 nella basilica di San Paolo Fuori le Mura, dove presiederà la celebrazione dei secondi vespri della solennità della Conversione di san Paolo Apostolo.
«Oggi - spiega monsignor Marco Gnavi - c’è un deficit di speranza proprio a causa delle divisioni. Ma Chiese e comunità ecclesiali si trovano, pur nella divisione, davanti a sfide comuni». Cinquant’anni fa lo storico abbraccio tra Papa Paolo VI e il patriarca Atenagora, da cui nacque la decisione di abrogare le sentenze dell’anno 1054 di reciproca scomunica tra cattolici e ortodossi.
«Nell’Angelus del 5 gennaio - prosegue monsignor Gnavi - Papa Francesco ha annunciato il suo pellegrinaggio in Terra Santa per commemorare quell’incontro, nel quale le Chiese si riconoscevano nuovamente sorelle. Quello stesso spirito deve trovarci vigili anche oggi».
Nella parrocchia di Santi Martiri dell’Uganda si riuniranno in preghiera ortodossi, rappresentanti del patriarcato ecumenico, cristiani eritrei, etiopici, anglicani, luterani, battisti, metodisti. Seguiranno lo schema offerto da un gruppo ecumenico canadese. «Il filo conduttore della preghiera - aggiunge monsignor Gnavi - sarà il dono che ciascuno può rappresentare per gli altri e avrà il suo cuore nella liturgia della Parola e nei commenti biblici».
Scelta significativa, quella della parrocchia dei Santi Martiri di Uganda. «In quel Paese - spiega l’incaricato diocesano per l’ecumenismo e il dialogo - la testimonianza di cattolici e anglicani è giunta fino all’effusione del sangue. L’obiettivo ultimo della preghiera - conclude - è certamente l’unità sacramentale. Ma anche se questa può essere lontana, per tanti motivi storici e teologici, la preghiera ci chiede di muoverci come se fossimo già uniti».
«Alla fine dell’Ottocento, in Uganda - spiega il parroco don Luigi D’Errico, cinquantaduenne romano da sei anni alla guida della comunità di via Adolfo Ravà - furono martirizzati sia missionari cattolici che protestanti. Nell’ottobre 1964 Paolo VI li elevò alla santità. La nostra è la prima parrocchia dedicata da Papa Giovanni Paolo II, nel 1982: la sensibilità su questi temi è infatti aumentata proprio grazie alla sua opera pastorale. Anche noi oggi sperimentiamo il valore dell’unità. Quando alla stazione Ostiense facciamo servizio ai poveri incontriamo anche volontari protestanti».
È la stessa multietnicità di Roma a richiedere la collaborazione tra i volontari cristiani. «Abbiamo tanti bambini ortodossi e protestanti - conclude don D’Errico, che ha trascorso 12 anni in Svizzera, crocevia di incontro tra calvinisti, ortodossi, luterani e musulmani - che vengono in parrocchia a fare catechismo insieme, non per ricevere gli stessi sacramenti, ma per conoscersi».