Gesù Cristo viene chiamato “Agnello di Dio” per essersi fatto docile, indifeso, pronto ad essere sacrificato. Sono queste le caratteristiche del Figlio di Dio che rendono la Chiesa una realtà accogliente, aperta e colma d’amore, preservandola dalla chiusura, dall’autoreferenzialità o, peggio ancora, dall’ostilità verso chi ne è esterno.
Lo ha detto papa Francesco, affacciandosi alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano, durante l’Angelus di questa mattina. Il punto di partenza della riflessione del Santo Padre è stato il Vangelo odierno (Gv 1,29-34), che riferisce dell’incontro tra Gesù e Giovanni il Battista, presso il fiume Giordano.
Vedendo avanzare Gesù in mezzo alla folla, Giovanni, “ispirato dall’alto, riconosce in Lui l’inviato di Dio, per questo lo indica con queste parole: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29)”.
Il verbo togliere, ha spiegato papa Francesco, “significa letteralmente ‘sollevare’, ‘prendere su di sé’, come fa Gesù “caricandosi le colpe dell’umanità” e quindi liberare il mondo “dalla schiavitù del peccato”.
E Gesù ci libera da questa schiavitù “con l’amore che spinge al dono della propria vita per gli altri”, fino a “morire sulla croce”. Egli è quindi “il vero agnello pasquale, che si immerge nel fiume del nostro peccato, per purificarci”. Egli si è messo “in fila con i peccatori per farsi battezzare, pur non avendone bisogno”.
L’immagine dell’Agnello, ha proseguito il Papa, ricorre più volte nel Nuovo Testamento e, in un certo senso “potrebbe stupire”: parliamo infatti di un animale “debole e fragile, simbolo di obbedienza, docilità e di amore indifeso, che arriva fino al sacrificio di sé”, caricandosi sulle spalle “un peso così opprimente”.
L’agnello, ha aggiunto il Pontefice, “non è dominatore, ma è docile; non è aggressivo, ma pacifico; non mostra gli artigli o i denti di fronte a qualsiasi attacco, ma sopporta ed è remissivo”.
Diventare discepoli di Gesù Agnello di Dio, significa quindi “mettere al posto della malizia l’innocenza, al posto della forza l’amore, al posto della superbia l’umiltà, al posto del prestigio il servizio”.
Essere discepoli dell’Agnello, tuttavia, significa anche non vivere come se si stesse in una “cittadella assediata”, ma in “una città posta sul monte, aperta, accogliente e solidale”, quindi non assumere “atteggiamenti di chiusura, ma proporre il Vangelo a tutti, testimoniando con la nostra vita che seguire Gesù ci rende più liberi e più gioiosi”.
Dopo la recita della preghiera mariana, Francesco, ricordando che oggi si celebra la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, ha rivolto un “saluto speciale” alle diverse comunità etniche presenti in piazza San Pietro, in particolare le comunità cattoliche di Roma.
“Cari amici – ha detto loro il Papa – voi siete vicini al cuore della Chiesa, perché la Chiesa è un popolo in cammino verso il Regno di Dio, che Gesù Cristo ha portato in mezzo a noi. Non perdete la speranza di un futuro migliore! Vi auguro di vivere in pace nei Paesi che vi accolgono, custodendo i valori delle vostre culture di origine”.
Subito dopo il Santo Padre ha rivolto un Ave Maria “per i migranti e i rifugiati che vivono situazioni più gravi e più difficili”.