«La proposta intende tutelare e sostenere le unioni civili equiparandole alla famiglia fondata sul matrimonio per gli ambiti di competenza comunale. Il pretesto, diremmo noi, è evitare ogni forma di discriminazione». Ma «la vera discriminazione consisterebbe nel trattare in modo uguale situazioni differenti, come sono le unioni civili e il matrimonio: nel secondo, infatti, due soggetti assumono precisi diritti e doveri di fronte alla legge, con rilevanza negoziale pubblica. Non si può barare con le parole». È quanto afferma Angelo Zema, direttore del sito di informazione www.romasette.it e responsabile del settimanale Roma Sette, nell’editoriale che sarà pubblicato domani – domenica 19 gennaio 2014 – sul periodico della diocesi di Roma in edicola con Avvenire in merito alla delibera per il riconoscimento e l’istituzione di un registro delle unioni civili approvata nei giorni scorsi nelle commissioni capitoline. Di seguito il testo integrale:
Il dado è tratto, in Campidoglio. La “battaglia” è quella sulle unioni civili. Nelle commissioni capitoline è stata approvata una delibera per il loro riconoscimento e per l’istituzione di un registro ad hoc. Preludio all’approdo nell’Assemblea capitolina. La proposta intende tutelare e sostenere le unioni civili equiparandole alla famiglia fondata sul matrimonio per gli ambiti di competenza comunale. Un elenco che va dalla casa all’occupazione, passando per sanità e servizi sociali, scuola e altro ancora. Con il riconoscimento ai soggetti iscritti nel registro di agevolazioni e benefici che spettano oggi ai coniugati. Il pretesto, diremmo noi, è evitare ogni forma di discriminazione. Pretesto, sì, perché non può sfuggire agli occhi di amministratori che dovrebbero avere a cuore il bene comune l’assurdità di tale ragionamento.
La vera discriminazione consisterebbe nel trattare in modo uguale situazioni differenti, come sono le unioni civili e il matrimonio: nel secondo, infatti, due soggetti assumono precisi diritti e doveri di fronte alla legge, con rilevanza negoziale pubblica. Non si può barare con le parole. Così, finisce per rivelarsi grottesco parlare della delibera come di «atto concreto per la lotta a ogni forma di disuguaglianza». Con il varo della delibera, a essere discriminate sarebbero le famiglie. Distinguere non è discriminare ma rispettare: questo dovrebbe essere chiaro. A meno che non si voglia immaginare di fornire assist a normative nazionali – ancora inesistenti – o di preparare qualche coup de théâtre nella città del Papa, cuore della cristianità.
Allora si può tutto. Perfino scrivere che «un consolidato rapporto coinvolge interessi meritevoli di tutela, al pari di ciò che accade per l’istituto del matrimonio», salvo contraddirsi riconoscendo l’iscrizione al registro delle unioni civili «senza previa richiesta di tempi minimi di coabitazione», e ancora concedere i locali del Campidoglio adibiti alle celebrazioni dei matrimoni civili per uno “pseudo-matrimonio” che suggelli l’iscrizione al registro, alla presenza di un delegato del sindaco. Un tocco hollywoodiano, una concessione alla scenografia per un’idea priva di sostanza, se si considera non solo l’inutilità giuridica di tale strumento ma anche il flop dei registri delle unioni civili in sei Municipi romani (meno di 50 coppie iscritte in 8 anni, come dimostrato da un’inchiesta di Avvenire). Insomma, la delibera è una forzatura giuridica, frutto di miopia politica. Di una politica che non sa guardare lontano, che vola basso e resta al palo dibattendosi tra le emergenze irrisolte della città.