Qualche anno fa, suscitò ampie discussioni la storia della conversione in punto di morte di Antonio Gramsci. Il fondatore del Partito Comunista Italiano, tuttavia, non sarebbe l’unico tra gli illustri atei del secolo scorso a compiere una clamorosa “inversione a U”.
È stata ripresa in questi giorni da parte del sito dell’Unione Cristiani Cattolico Razionali, la vicenda della folgorazione sulla via di Damasco di Jean-Paul Sartre (1905-1980), un filosofo che, lungo l’arco di tutta la sua vita pubblica, cambiò spesso idea e rimodulò frequentemente il suo pensiero, aprendosi a svolte sorprendenti ma mai alla fede, tantomeno quella cristiana.
In un’intervista rilasciata a Benny Levy, suo amico e noto intellettuale marxista, Sartre affermò di non sentirsi un “prodotto del caso”, né un “granello di polvere nell’universo”, bensì “qualcuno che era aspettato, preparato, prefigurato. In breve, un essere che solo un Creatore potrebbe mettere qui” e a cui il filosofo francese attribuì esplicitamente il nome di “Dio”.
Questa svolta “religiosa” di Sartre, fu accolta con stupore dai suoi amici di sempre, compresa la sua compagna Simone de Beauvoir che, un paio d’anni dopo la morte del filosofo, affermò: “Come si potrebbe spiegare questo senile atto di un voltagabbana? Tutti i miei amici, tutte le Sartreans, e la redazione di Les Temps Modernes mi hanno sostenuto nella mia costernazione”.
Come avvenne con Napoleone, Leopardi, Gramsci e vari altri celebri miscredenti, alla fine della sua vita Jean-Paul Sartre avrebbe di fatto rinnegato la sua intera storia intellettuale.
Sartre, infatti, non fu soltanto il più popolare esponente dell’esistenzialismo, fu una vera e propria icona di un pensiero laicista e libertario, che, anno dopo anno, cercò di declinare nelle forme più in linea con lo spirito del suo tempo.
L’esistenzialismo, nella sua prima fase – così come nella prima fase della produzione sartriana – non era una corrente di pensiero incline all’impegno politico o civile, eppure il filosofo francese, negli anni ’50, in piena guerra fredda, fece il suo endorsment per il marxismo stalinista.
Oltre a giustificare o minimizzare i gulag e i crimini dell’Unione Sovietica (da cui però prese le distanze dopo la repressione in Ungheria del 1956), Sartre appoggiò altre dittature criminali come i khmer rossi di Pol Pot in Cambogia.
Per contro fu sempre tenacemente ostile alle guerre di marca occidentale, appoggiando la causa indipendentista algerina e criticando l’impegno militare degli USA del Viet Nam.
Sartre fu anche amico di Ernesto Che Guevara e appoggiò il regime di Fidel Castro a Cuba, salvo prenderne le distanze all’inizio degli anni ’70.
“Siamo condannati ad essere liberi”: in questa frase si sintetizza l’estremo paradosso del pensiero di Sartre e le continuative contraddizioni della sua vita personale ed intellettuale.
La libertà di Sartre, tuttavia, non ha nulla a che vedere con il libero arbitrio di stampo cristiano ma nasce dall’intrinseca insensatezza dell’esistenza umana, poiché è una libertà basata sul nulla. Un concetto che sembra quasi la logica conseguenza dell’asserto dostojevskiano per cui “se Dio non esiste, tutto è permesso”.
L’intera produzione sartriana si connota per il tentativo titanico di conciliare idee incompatibili, a partire dal comunismo e dalla libertà. Fu proprio il suo distacco dal comunismo sovietico che lo portò a scrivere la Critica della ragion dialettica (1960), in cui il filosofo francese cercava di salvare del marxismo almeno il nucleo del materialismo storico.
Da qui l’esigenza di sposare, di volta in volta, le cause più disparate, purché sempre in chiave anti-borghese, anti-americana, anti-capitalista e anti-imperialista.
L’unica forma di divinità che Sartre concepiva era l’idea dell’uomo di realizzarsi come dio di se stesso, di vivere nel più totale arbitrio. La questione di Dio è una domanda mal posta: l’esistenza è di per sé così assurda che anche “se [Dio] esistesse, ciò non cambierebbe nulla”.
Eppure tutta la vita di Sartre è stata una ricerca di Dio: “avevo bisogno di Dio – scrive il filosofo – mi fu dato, lo ricevetti senza capire che lo cercavo. Non potendo attecchire nel mio cuore, egli ha vegetato in me, poi è morto” (1).
Prigioniero in un lager nazista, nel Natale 1940 il giovane Sartre scrisse Bariona un testo teatrale sulla Natività: “Donna, questo bambino che vuoi far nascere è come una nuova edizione del mondo. Attraverso di lui le nubi e l’acqua e il sole e le case e la pena degli uomini esisteranno una volta di più. Tu ricreerai il mondo, si formerà come una crosta spessa e nera intorno ad una piccola coscienza scandalizzata che rimarrà là prigioniera, in mezzo alla crosta, come una lacrima”.
Rimasto orfano di padre assai presto, Sartre non riuscì mai a concepire la paternità di Dio. Ma forse ne provò nostalgia. Specie all’atto finale della sua vita.
(1) Cit. in: http://www.uccronline.it/2010/05/11/quando-jean-paul-sartre-scrisse-della-nativita-di-cristo/