Le immagini che valgono tutta la Manif Pour Tous sono frutto della creatività dei bambini: mentre i loro genitori ascoltavano gli interventi sul palco a piazza Santi Apostoli, un’area di baby-sitting era stata allestita per i più piccoli.
Un disegno da loro realizzato durante le tre ore di manifestazione reca impresse le impronte di tante manine, quattro sagome a rappresentare una mamma, un papà e due bambini, due cuori e la scritta: Famiglia è un diritto ad avere dei genitori. Affianco un’altra tavola, firmata dalla piccola Raphaelle dove spiccano un tricolore italiano e la scritta: Bambino = made in papà e mamma.
L’azzurro e il rosa, simboli della incontrovertibile differenza maschio-femmina che dà luogo alla vita umana, sono i colori dominanti della Manif Pour Tous romana: ovunque è un florilegio di palloncini e t-shirt di questi due colori. C’è chi si è stampato sul volto l’adesivo con il logo dell’iniziativa e, in tempo reale, lo mostra orgoglioso ai suoi amici su Facebook.
Non mancano le famigliole al completo, tra le quali balza agli occhi una carrozzina in cui dorme beata una bimba di quattro mesi, probabilmente la più giovane manifestante: carrozzina e tutina della piccola sono di un fucsia perfettamente intonato al rosa scuro del logo della Manif…
I manifestanti-tipo sono la giovane mamma e il giovane papà che, tra qualche anno dovranno spiegare ai loro figli, quella che, fino a poco tempo fa, era una pacifica realtà naturale e sociale: i bambini nascono da una madre e da un padre e da loro sono cresciuti ed educati.
C’è chi è venuto da altre città, sacrificando tempo e anche un po’ di denaro. La maggior parte dei gruppi sono autonomi e spontanei, ovvero non fanno capo ad alcuna associazione o gruppo parrocchiale: sono semplicemente famiglie o comitive di famiglie recatesi a Roma per condividere con altre famiglie, la bellezza di ciò che vivono quotidianamente e per preservare questo tesoro prezioso.
Da Bologna, città secolarizzata e piuttosto incline alla mentalità dominante, è giunto un gruppo di una decina di manifestanti, tra cui Elena Tinti, una grintosa mamma di 28 anni. “Ho scelto di sposarmi giovane, poiché ho incontrato un uomo coraggioso che la pensa come me – racconta a ZENIT -. Ce l’abbiamo messa tutta e c’è da difendersi da ogni parte perché questo Stato non ci sostiene in nulla”.
Elena ha due figli piccoli ai quali, appena saranno un po’ cresciuti, spiegherà che “oggi, i loro genitori si sono battuti per difendere quello che vivono in casa, che è qualcosa di vero e di naturale da cui nasci e che, dalla più tenera età, sei portato a riconoscere come qualcosa di bello”.
La diversità tra uomo e donna “ti rende ricco, ti fa crescere, ti porta a uscire da te stesso e ad incontrare una diversità che genera vita, in ogni senso, anche nella società”, dice la giovane mamma bolognese.
Parlando del progetto di legge contro l’omofobia, la signora Tinti si infervora: “Gli omosessuali invece non possono generare vita, è la natura che glielo impedisce: se dirlo è essere omofobi, io sono omofoba, arrestatemi! Mi domando, poi: una volta che mi avranno arrestato, in che carcere mi metteranno? Maschile o femminile?”.
A piazza Santi Apostoli non mancano i giovani, la cui famiglia è ancora solo quella di origine, come nel caso di Alessandro, studente romano di 22 anni, che afferma: “In un momento in cui è in atto un attacco antropologico alla famiglia, sentiamo il dovere di difenderla e far sentire la nostra voce. La famiglia è qualcosa di essenziale nella natura dell’uomo, quindi attaccarla, significa attaccare la natura umana”.
Federico, 21 anni, anch’egli studente, si sofferma invece sulla libertà di opinione, che il progetto di legge Scalfarotto metterebbe a repentaglio. “Questa legge non è essenziale, anzi è dannosa. I dati che abbiamo in mano testimoniano che i casi di omofobia sono molto pochi e quando veniamo a conoscenza di casi di suicidio di persone omosessuali, di solito non è per l’intolleranza di qualcuno, come vogliono far credere i media, ma per malesseri personali e molto profondi”.
Secondo Federico è errato parlare di “matrimonio” tra persone omosessuali anche dal punto di vista “etimologico”. Se si eliminano i “cardini” della famiglia, ovvero le figure del padre e della madre, “si crea confusione nel bambino” e non è più possibile “sviluppare quella serie di valori cui oggi la società vuole fare riferimento”.