«Pur nella consapevolezza della crisi così profonda che attanaglia la società, un mio atto di fiducia: che l’aspirazione che c’è al fondo di questi scompensi è compatibile col modello di vita comunitaria che un cattolico ha davanti a sé per realizzare: far sì che costruisca una vita comunitaria in cui ciascun uomo, tutti gli uomini abbiano uguale dignità».
Sembra di sentirlo parlare oggi, Piersanti Mattarella, mentre scruta il suo tempo per coglierne drammi e rughe. Palermo lo ha ricordato pochi giorni fa. Ha ricordato l’uomo mite, alfiere del dialogo ma deciso nella radicalità delle scelte e nella difesa dei valori, come solo un cristiano autentico sa essere. Ha ricordato l’Epifania di sangue che ai giovani non dice nulla, quel 6 gennaio del 1980 che si tinse del nero della morte di un giusto. In quel giorno di festa, il presidente della Regione Sicilia è senza scorta: vuole che i suoi agenti possano godersi l’affetto delle proprie famiglie. Esce di casa, con la moglie e i figli. Vanno a messa. Sale in auto, ma non fa in tempo neppure a mettere in moto perché uno sconosciuto s’avvicina lesto, a piedi, impugna una pistola. Spara. Tre volte. Il finestrino va in frantumi, il presidente reclina sul petto il capo sanguinante: stretto al seno della moglie Irma, spirerà mezz’ora dopo in ospedale.
Chi uccide Mattarella? La mafia, diranno i giudici anni dopo, condannando i mandanti – la “cupola” di Cosa Nostra – senza tuttavia arrivare ad individuare né gli esecutori né, soprattutto, il movente. La mafia volle fermare con il piombo l’ansia di rinnovamento che l’allievo di Moro andava seminando a piene mani in un’Italia e tra le fila di una classe dirigente per lungo tempo chiuse in se stesse ed ormai assetate solo e soltanto di potere e per questo capaci, pur di conservarsi e perpetuarsi, di scendere a patti anche col diavolo mafioso. «Noi vogliamo disegnare una società in cui accanto all’uomo fisico ci sia l’uomo-spirito che abbia per obiettivo la pienezza della sua realizzazione», ripeteva il Presidente fino a fare dei suoi principi e del suo sentire, informati al cattolicesimo popolare della migliore tradizione sturziana, la base di un modo di intendere e praticare la politica che non poteva essere tollerato dai cultori del dominio. E pure per questo morì Piersanti Mattarella: per non aver voluto piegare alle logiche dell’avere quelle dell’essere. Per aver strenuamente difeso fino all’ultimo respiro, pur nella consapevolezza d’essere ormai finito nel mirino di nemici che prima o poi avrebbero armato la mano di un killer, gli insegnamenti evangelici applicati alla politica, al servizio al prossimo, all’affermazione del bene comune. «Noi dobbiamo scegliere tra essere la maggioranza silenziosa del Paese, trascinata da una minoranza faziosa, o essere una parte del Paese che ha il diritto di salvare i valori, i postulati, i principi, i programmi in cui crede ed a cui vuole ispirarsi, perché questa larga presenza di cittadini italiani non può continuare ad essere assente di fronte a ciò che accade», ripeteva mentre andava incontro al suo destino. Tre colpi di pistola lo strapparono alla famiglia, agli amici, all’Italia onesta. Resta il suo esempio, che è memoria per i cristiani, per chi serve fedelmente le Istituzioni, per chi insegue l’idea di costruire un mondo migliore.
+ Vincenzo Bertolone