Italia e Israele insieme per esplorare l'autismo

Domani e domenica, un convegno presso l’Istituto di Ortofonologia di Roma, in collaborazione con il Milman Center di Haifa, per mettere al centro la persona e la dignità umana

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Esplorare nell’autismo la relazione primaria tra i genitori e i figli coinvolti in un disturbo che ha interrotto in entrambi la capacità di comprensione dello stato mentale dell’altro. Lavorare quindi sul rapporto madre-figlio, padre-figlio, genitori-figlio per superare le difficoltà relazionali nella prima infanzia, che nascono proprio dall’impossibilità del minore di sintonizzarsi con la madre e il padre. È questo il focus del convegno su ‘La nascita del simbolismo nella terapia diadica con il bambino autistico’ che l’Istituto di Ortofonologia di Roma (IdO) promuove nella Capitale domani 11 e domenica 12 gennaio, in collaborazione con il Milman Center di Haifa (Israele), presso l’Istituto comprensivo Regina Elena i(via Puglie 6), dalle ore 9 alle 18.30. A spiegarci i contenuti, gli obiettivi e la storia di questo confronto internazionale è la Dott.ssa Magda Di Renzo, psicoterapeuta dell’età evolutiva e responsabile del servizio Terapie dell’IdO.

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Quando è nata la collaborazione tra l’Istituto di Ortofonologia di Roma e il Milman Center di Haifa?

Dott.ssa Di Renzo: Tra l’IdO e il Milman Center esiste una profonda e antica corrispondenza culturale, che sul piano operativo si sta concretizzando da circa due anni attraverso una serie di scambi culturale nostri ad Haifa e loro qui a Roma. In sostanza stiamo cercando di seguire ed articolare una ricerca sul campo che possa contemplare sia i bambini israeliani che italiani. Vogliamo confrontare dati e verificare in modo incrociato i vari interventi, impostando osservazioni comuni per appurare la possibile efficacia delle terapie attraverso uno scambio di strumenti di valutazione. Ad esempio, noi abbiamo portato in Israele il nostro Test sul contagio emotivo (Tce) per valutare il livello di empatia dei bambini seguiti all’interno del Milman Center. D’altro canto, ad Haifa stanno conducendo studi approfonditi sul Manuale diagnostico psicodinamico per mettere in comune invece le conoscenze specifiche di ciascuno.

Qual è la terapia proposta dal centro israeliano?

Dott.ssa Di Renzo: Nel Milman Center si segue un approccio diadico di stampo psicoanalitico. Per dimensione diadica si intende la relazione primaria, perché nel modello israeliano la terapia funziona attraverso incontri madre-figlio, padre-figlio e genitori-figlio così da trovare quella sintonia primaria di ciascun genitore con il bambino e poi della coppia genitoriale con il figlio. Questo approccio favorisce l’attenzione congiunta e mette in moto nel piccolo quel processo di simbolizzazione della capacità cognitiva che nasce dalla dimensione affettiva. Quindi al Milman Center lavorano prima sulla relazione e poi sull’aspetto cognitivo. Nell’intervento che domani terrà Ayelet Erez, psicologa clinica dell’età evolutiva e dell’educazione nonché membro della Clinica per la psicoterapia psicodinamica dell’età evolutiva del Ministero della Salute di Haifa, l’attenzione verrà infatti puntata sul come l’organizzazione cognitiva sia intrinsecamente connessa alla dimensione affettiva. Mi spiego, si lavora affinché sia il bambino a mettere in moto la propria cognizione evitando di dargli concetti già pronti dall’esterno, perché deve essere il piccolo ad arrivare a una sua concettualizzazione per sviluppare quei meccanismi di generalizzazione che sono alla base di qualunque espansione cognitiva.

I due istituti hanno le stesse finalità ma adoperano approcci differenti?

Dott.ssa Di Renzo: Il Milman Center si concentra appunto sulla terapia diadica, intrecciando all’esperienza clinica lo studio dello sviluppo infantile e le teorie relative al disturbo dello spettro autistico. Il suo modello terapeutico fa diventare la casa un laboratorio di vita per le famiglie con bambini autistici. Così, per promuovere la relazione primaria, gli israeliani sottolineano l’importanza di lavorare con i genitori partendo proprio dall’accoglienza delle famiglie e ricreando nel loro centro un habitat che riprende l’ambiente della casa. In questo modo i terapeuti potranno fornire alle famiglie gli strumenti per vivere al meglio la quotidianità. Il tutto all’interno delle molteplici attività proposte dal Milman, che vanno dalla logopedia alla musicoterapia. L’IdO focalizza invece la terapia su un lavoro corporeo che permette al bambino di muoversi verso il mondo per dare un significato alle proprie operazioni e raggiungere così l’integrazione tra i vari aspetti sensoriali e tra la sensorialità e la cognizione. Attualmente il nostro istituto segue oltre 100 bambini autistici attraverso il progetto Tartaruga, che prevede un approccio terapeutico intensivo, integrato e psicodinamico volto a coinvolgere la triade bambino, famiglia e scuola all’interno di numerose attività. Da noi le madri e i padri sono sempre parte attiva della terapia, ma come genitori non come terapeuti, e devono essere aiutati dai terapeuti a sentirsi genitori dei loro bambini.

Cosa si aspetta da questo convegno internazionale?

Dott.ssa Magda Di Renzo: Ci aspettiamo che si rimettano al centro il valore e la dignità dell’individuo e che la patologia non faccia dimenticare che c’è un bambino con le sue potenzialità, i suoi limiti, il suo carattere e le sue specificità. E tutto questo vale anche per i genitori. Mi auguro che il nostro convegno permetta nuove riflessioni, aprendo il dibattito a una dimensione che non sia solo sintomatica. Vogliamo garantire che la ricerca scientifica rimanga sempre aperta e pluridisciplinare su questo disturbo per ridare valore a tutti i contenuti umani della relazione, che non devono essere dimenticati neanche nelle patologie più gravi. Dobbiamo sottolineare l’importanza del rispetto dell’individualità di ogni bambino e della specificità di ogni famiglia, perché venga riposta enfasi sul come aiutare i genitori ad entrare in risonanza con i loro figli. Dobbiamo aiutare le madri e i padri a riflettere sul significato del comportamento dei loro figli anche se autistici, perché c’è sempre un significato anche nella patologia. Infine, mi auguro che questa apertura sia finalizzata a far capire che la diagnosi nell’autismo debba essere qualitativa e non solo quantitativa, tenendo conto di tutti gli aspetti di una persona per non rischiare di dare la stessa diagnosi a bambini tra loro profondamente differenti. Introdurre elementi qualitativi, che prevedono il modo in cui il piccolo si relaziona, significa ridare spessore al bambino che altrimenti rischierebbe di rimanere appiattito da un’etichetta, tanto più se grave.

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Anna Fusina

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