"Benedetto e Francesco: due Papi con approcci complementari" (Prima parte)

Il vaticanista Salvatore Izzo analizza gli ultimi undici mesi della Chiesa, dalle dimissioni di Benedetto XVI alle nuove sfide di papa Francesco

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I giornalisti presenti in Sala Stampa vaticana, nel pomeriggio del 13 marzo scorso, non dimenticheranno mai quel momento. L’annuncio della fumata bianca giunse come una contagiosa scossa d’entusiasmo. Sorrisi, abbracci e urla di giubilo presero il posto, per qualche minuto, alla consueta aplomb che regna sovrana in certi ambienti. Finalmente, dopo settimane di Sede Vacante, il popolo cristiano poteva conoscere il suo nuovo Santo Padre.

Salvatore Izzo, vaticanista di lungo corso, inviato dell’Agi, ricorda di esser stato tra i più rumorosi e galvanizzati. A dieci mesi di distanza, spiega inoltre che quell’entusiasmo era ben riposto. Nell’intervista che segue, Izzo torna sulle dimissioni di Benedetto XVI – a cui è profondamente legato – e analizza il Pontificato di Francesco, un Papa “portato per mano dal Signore”.

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Quali le ragioni che secondo lei hanno portato Benedetto XVI alle dimissioni?

Salvatore Izzo: L’11 febbraio 2013 è stato forse il giorno più doloroso della mia vita, assieme a quello della morte di mio padre. Lo dico perché la sua domanda tocca un tema per me molto delicato e non vorrei essere frainteso. Per prima cosa desidero affermare che non ritengo ci sia alcuna ragione per non credere alla motivazione che una persona seria e onesta come papa Benedetto ha dato del suo gesto: il progressivo venir meno del necessario vigore, sia del corpo, sia dell’animo, per guidare la Chiesa in un tempo difficile. Nonostante l’età avanzata, per 7 anni si era speso con straordinaria generosità ed efficacia: l’ho seguito in tutti i viaggi, e non posso dimenticare come ha saputo “conquistare” ad esempio gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, o i giovani in Australia e l’intera popolazione libanese. Per non parlare di Cuba, della Terra Santa e delle meravigliose visite mariane a Lourdes, Fatima e Loreto. Ed era nell’ordine delle cose che a 86 anni potesse non sentirsi in grado di mantenere il passo necessario a guidare il nostro popolo in cammino. Ma personalmente credo che a questa condizione di stanchezza e debolezza, avvertita davanti alla gravità dei problemi ancora da affrontare, a partire dalla ultra-necessaria riforma della Curia, abbiano al contempo contribuito in molti: non posso dimenticare che il Papa è stato isolato, offeso, calunniato, tradito, e alla fine anche derubato nella sua casa. Per capire cosa abbia passato in questi anni bisogna rileggersi quello che ha scritto nella lettera a tutti i vescovi del mondo sul “caso Williamson” e in quella ai cattolici d’Irlanda feriti dagli abusi, che considero due documenti importantissimi e rivelatori della santità personale di Joseph Ratzinger. Le parole con le quali ha descritto l’aggressione subita dopo la remissione delle scomuniche e le lacrime che ha versato con le vittime dei crimini compiuti da sacerdoti mi sono tornate alla mente mentre dovevo riferire sull’Agi – ed è stato per me molto penoso – quel che era accaduto nel Concistoro in cui senza alcun preavviso Benedetto ha annunciato la sua rinuncia.

È verosimile che il cardinale Bergoglio fosse anche il candidato auspicato da papa Benedetto XVI?

Salvatore Izzo: Sinceramente non credo che il Papa Emerito avesse uno o più candidati. Penso che Benedetto si sia invece affidato completamente al Signore, fiducioso che lo Spirito – come disse poi Francesco il 16 marzo, nell’incontro con i giornalisti – dopo avergli suggerito la rinuncia guidasse anche l’elezione del successore. Penso che a queste cose si deve guardare con uno spirito di fede (altrimenti non ci si capisce nulla) e Joseph Ratzinger è un uomo di profonda fede.
Quanto alle ipotesi che potrebbe aver fatto Benedetto – come tutti – in quelle ore dell’attesa, anche se ovviamente ricordava i molti voti avuti da Bergoglio nel 2005, non sembra che avesse mai parlato della possibilità concreta di una sua elezione nel Conclave successivo. Ma questo non mi sembra un elemento significativo, mentre tengo a sottolineare che il Papa Emerito ha promesso assoluta obbedienza al successore ancor prima di sapere chi sarebbe stato.

Secondo alcuni la candidatura del cardinale Bergoglio si è imposta con decisione fin dalle prime votazioni in Conclave. Quale il suo parere in proposito?

Salvatore Izzo: Per quel che ho potuto ricostruire, sembra che fin dalla prima votazione Jorge Mario Bergoglio e due altri cardinali latino-americani a lui vicini (ma entrambi in misura nettamente inferiore all’allora arcivescovo di Buenos Aires) avessero ricevuto insieme un numero di voti tale da avvicinarsi a un terzo degli elettori. Dunque era stato subito chiaro che il vento dello Spirito soffiava in quella direzione. E mi risulta difficile credere all’ipotesi di un consistente pacchetto di voti precostituito a favore di un candidato italiano. Essendo divisi al loro interno, del resto, non sembra plausibile che i nostri cardinali potessero contare su significativi appoggi iniziali da cardinali di altri Paesi. 

Come ha accolto l’elezione di papa Francesco?

Salvatore Izzo: Dal momento della rinuncia di Benedetto, per un mese e due giorni – lo confesso con un po’ di imbarazzo – personalmente sono piombato in una condizione di confusione angosciosa, una notte davvero buia: avvertivo che Benedetto aveva compiuto una scelta troppo dolorosa, anche se lo aveva fatto per il bene di tutti, in particolare dei più deboli e poveri del mondo, quelli che hanno nel Papa il loro unico difensore. Altro che scendere dalla Croce, Benedetto ci si era lasciato inchiodare! Da questa tristezza paralizzante mi ha destato la fumata bianca del 13 marzo, quando ancora prima di sapere chi fosse l’eletto ho provato la grande gioia di sentirmi di nuovo figlio. E in quel segno esteriore ho ritrovato le ragioni della mia fede perché – data la situazione della Chiesa – l’elezione del nuovo Vescovo di Roma al secondo giorno non poteva che essere un dono dello Spirito Santo. Impressione che ha poi confermato l’annuncio dell’eletto: un presule che viveva in povertà e che ha scelto il nome di Francesco, realizzando quel sogno del quale avevo scritto diverse volte nei giorni precedenti (anche se – onestamente lo ammetto – io avevo pensato piuttosto alla possibilità che ad osare tanto potesse essere, se eletto, il cappuccino O’Malley). Per questo con i miei figli e mia moglie – che erano con me in Sala Stampa – ho vissuto attimi di vera festa, forse anche un po’ troppo rumorosa, come si lamentò qualche collega. Poi, quando Francesco dalla Loggia delle benedizioni ha ricordato Benedetto e chinato il capo, ho capito quale grande dono stavamo ricevendo con la sua elezione.

(La seconda parte segue domani, sabato 11 gennaio)

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Federico Cenci

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