Il cammino verso l'unione bancaria ancora una volta ha visto vincere la logica del più forte

Non potrà esserci vera democrazia e vera Europa unita e solidale fintanto che ci sarà un costo del denaro che rende Stati, imprese, famiglie diseguali tra loro in base della loro collocazione geografica

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Il cammino verso l’unione bancaria ancora una volta ha visto vincere la logica del più forte. Anche l’Unione bancaria europea, primo vero pilastro dell’eurozona del futuro, sarà connotato dalla tecnocrazia comunitaria e dalla mancanza di solidarietà tra i paesi del continente.

Si tratta di una occasione mancata: una costruzione dell’unione bancaria su logiche comuni doveva raggiungere due obiettivi, ovvero rendere le banche più affidabili e realizzare una cesura netta del legame perverso tra debiti bancari e debiti degli Stati che hanno avviato la crisi europea.

Per raggiungere questo fine, la Banca Centrale Europea (Bce), si sarebbe dovuta dotare di una più profonda vigilanza bancaria e di una rete di protezione comunitaria. Con tali misure i problemi di una banca non si sarebbero scaricati sul Paese in cui essa ha sede, rendendo insostenibile sia il debito pubblico sia il costo sociale. Una rete di protezione solidale del genere avrebbe accelerato il ritorno della fiducia verso le banche e i Paesi del Sud Europa, rendendo più facile la concessione del credito, agevolandone la ripresa e la stabilità, superando l’attuale asimmetria tra Paesi forti e deboli dell’Europa.

Qual è stato invece il risultato del Consiglio europeo di giovedì 19 dicembre? Nel breve periodo, il primo aspetto prevede che gli Stati diano vita ad un fondo salva-banche unico, finanziato con prelievi sulle banche dei singoli Paesi. Inizialmente sarà formato da fondi nazionali che dopo dieci anni confluiranno in un unico fondo. Le banche in difficoltà dovranno accollare poi le perdite ad azionisti, obbligazionisti e grandi depositi: se a una banca serviranno ancora fondi, si potranno avere finanziamenti-ponte da parte di Stati o del fondo salva-Stati. Saranno possibili anche i prestiti tra compartimenti del fondo salva-banche.

Un altro aspetto è che l’autorità prende la decisione di far fallire una banca in difficoltà: sarà un board formato da rappresentanti delle autorità nazionali, che agirà su impulso della Bce. In altre parole, se va accolta in maniera positiva una vigilanza più forte della Bce, rimane del tutto insufficiente la rete di protezione comune che dovrebbe assicurare la rottura del circolo vizioso tra banche e Stati. Questa decisione lascerà ampi spazi alla speculazione finanziaria per approfittare delle debolezze dei singoli Paesi.

Quindi l’obiettivo di far tornare a circolare il credito nei Paesi deboli dell’euro-area, e quindi alzare una rete di protezione verso gli Stati più deboli, è stato del tutto mancato. Perlomeno nel breve periodo. Un giudizio “chiaroscuro” riguarda invece il lungo termine.

L’aspetto positivo è la maggiora vigilanza della Bce, con gli stress test dei bilanci bancari, che valuteranno lo stato di salute delle banche e qualora questa salute dovesse essere cattiva si apre la prospettiva di far pagare il risanamento ad azionisti, ai creditori e depositanti abbienti anziché allo Stato. In questo passaggio si nasconde un aspetto critico: i controlli della Bce, stanno direttamente e indirettamente migliorando le pratiche quotidiane di molte banche imponendo un cambiamento della cultura nella gestione delle imprese bancarie. Peraltro gli effetti positivi di questo cambiamento, coniugati secondo l’accordo del 19 dicembre, avranno nel breve termine effetti negativi nei Paesi più deboli dell’Europa (tra di essi l’Italia).

Difatti, le banche dovendo rispettare gli standard più stringenti. Cioè, per risultare più solide e rispondenti agli standard della Bce, le banche ridurranno ulteriormente il credito e questo  aggraverà ancora di più la recessione dell’economia reale nei Paesi del Sud Europa.

Ai controlli della Bce va aggiunto anche il nuovo regime di risoluzione dei problemi delle banche che vedrà penalizzati gli azionisti e i creditori. Saranno concesse deroghe, infatti, solo per le banche “salvate” con fondi degli Stati in cui ha sede la banca. Quindi i Paesi con alto debito pubblico (Italia) saranno svantaggiati.

Come ulteriore conseguenza avremo la crescita delle diseguaglianze tra Paesi forti e deboli dell’area Euro e dei partiti estremisti, come pure il dramma della desertificazione industriale, la povertà e l’ingiustizia sociale tra i cittadini europei. Il tutto con conseguenze politiche di difficile previsione.

Purtroppo ancora una volta la logica della solidarietà attiva è mancata: l’accordo raggiunto agevola i Paesi con un debito pubblico basso che potranno continuare a garantire le loro banche, mentre gli azionisti, i creditori e i depositanti dei Paesi con alto debito pubblico vedranno salire i rischi sistemici. Quindi le banche dei Paesi deboli saranno quindi più rischiose delle altre e gli azionisti, i creditori e i depositanti avranno maggiori rischi e minori diritti assicurati.

Se la ratio dell’Unione bancaria europea era quello di uniformare il sistema del credito, con questo accordo Banken-union l’obiettivo si allontana. E ad un paese come l’Italia (come anche a tutti i Paesi deboli) reca solo svantaggi, andando ad aumentare la diseguaglianza infra Europa, ostacolando la circolazione del credito e aggravando la salute dell’economia reale.

La logica che presiede all’unione bancaria e all’unione fiscale sono le stesse: più vincoli, meno solidarietà dei rischi. Non potrà esserci vera democrazia e vera Europa unita e solidale fintanto che ci sarà un costo del denaro che rende Stati, imprese, famiglie diseguali tra loro in base della loro collocazione geografica.

La democrazia, la giustizia economica e sociale non può essere seconda la logica del più forte, questa logica fa crescere solo il livello di sfiducia reciproca in Europa, aumentare il potere dei populisti estremisti: la vittoria di questi ultimi aggraverà ancora di più la crisi europea. Dinanzi a questa cecità, alcuni politologi parlano di autismo politico dei governi europei. Da un lato abbiamo la Germania che di fatto domina le riunioni europee con la sua visione di breve termine (criticata anche da Helmut Kohl, grande politico tedesco cattolico e padre della seconda generazione nella costruzione dell’Unione Europea), che impone ai Paesi deboli europei, riforme dagli alti costi umani, economici, industriali, nella certezza ideologia  che  questa sia l’unica via per costringerli a fare le riforme necessarie e sulla convinzione che mettere il bilancio tedesco a garanzia dei debiti bancari o governativi altrui significhi togliere incentivi alle riforme. 

I Paesi deboli dell’euro-area alimentati da una debolezza interna sono  privi di influenza sulle strategie tedesche e mentre avrebbero bisogno di solidarietà dalla Germania,  per questo motivo non riescono a sviluppare che una pallida personalità politica. Bisogna anche ammettere, che da diversi anni i deboli dell’area euro, nonostante le condizioni finanziarie favorevoli (ad esempio tassi d’interesse bassi dal 2000 al 2009), non hanno fatto le riforme strutturali di cui avevano ed hanno bisogno; la loro “logica” non ha risposto ne a quella di Prometeo (“colui che pensa prima di agire”), il titano amico dell’umanità e del progresso, ne come suo fratello Epimeteo (“colui che pensa dopo aver agito”), ma secondo la logica del consenso di breve periodo. 

In questa situazione di autismo politico europeo, il risultato è un ostruzionismo vicendevole come quello uscito dal Consiglio Ue in cui la Germania svuota l’unione bancaria e gli altri rinviano i “contratti per le riforme”. Una dinamica da matrimonio infelice in cui le colpe si confondono e che richiede lo sforzo eroico di ricostruire il senso del vivere insieme, di recuperare la responsabilità, la fiducia il progetto comune smarrito.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Carmine Tabarro

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione