Non so se andando a Roma hai qualche volta attraversato la stazione Termini. Ti sorprende un andirivieni caotico e, a guardarlo bene, anche ordinato. Ma alla centrale di Milano, forse perché ci sono stato rare volte, la mia impressione è che vi domina il “caos”.
Mentre la attraversavo, mi son sentito per un momento avvolgere e trasportare da quell’andirivieni fatto di mille volti svagati e solitari, chiusi in se stessi, imbattendomi in espressioni le più strane, di chi va or qua or là, senza meta: ciascuno segue la punta del suo naso.
Immerso anch’io in quella fiumana, mentre stavo vagando e vagheggiando, sono stato richiamato da una voce chiara e perentoria: “Andrea, vieni qua!”. Mi sono fermato un attimo e, senza darlo a vedere, mi sono guardato d’attorno cercando da quale parte venisse la voce che ripetutamente pronunciava il mio nome e perentoriamente aggiungeva : “Vieni qua!”.
Senza fatica, ho individuato la scena in cui il papà rincorreva il proprio bambino che scorrazzava qua e là, svagato e distratto, per chiamarlo a sé prima che si smarrisse tra la folla.
Nel caos della stazione non mi sarei certo perso; ma alle volte, immerso nel buio della tentazione e camminando nei labirinti del mondo senza Dio, ti senti addirittura a pochi passi dal baratro dell’inferno; ma una voce, la voce immancabile del Papà ti risuona dentro netta e rassicurante, non per comandarti: “vieni qua”, ma per garantirti: “Andrea, sono qua”.
Ciao da p. Andrea
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