“L’Italia è il fulcro del cattolicesimo e possiede la cultura della pace, perciò invito il popolo italiano ad essere messaggero della Siria aiutandola così a risolvere la crisi”. È questo l’urlo veemente di una donna che ama profondamente la propria terra e soffre nel vederla dilaniata da una guerra che si protrae ormai da due anni e mezzo. È una donna elegante e determinata, dall’aspetto occidentale, architetto e deputata cristiana indipendente nel Parlamento siriano. Si chiama Maria Saadeh, in questi giorni si trova a Roma e sabato accompagnerà il patriarca greco-melkita Gregorio III Laham all’incontro con Papa Francesco.
In passato non ha risparmiato dure critiche al regime di Bashar al-Assad, ma ciò non le impedisce di riconoscere che oggi “l’unica garanzia per il popolo siriano è salvaguardare lo Stato e riaprire i canali diplomatici con Damasco”. Fin dall’inizio della crisi, Saadeh ha capito che all’estero “quello che raccontavano i media era ben diverso dalla realtà”, giacché con i propri occhi vedeva che per le strade del Paese non si stava consumando una legittima richiesta di riforme bensì “il tentativo violento di disintegrare lo Stato siriano”. Qualcuno ha cominciato a rinfocolare tensioni etniche e confessionali che “non appartengono alla cultura della Siria”, storicamente aperta alla convivenza tra diversi popoli e fedi. Purtroppo, questo subdolo tentativo di dividi et impera ha attecchito molto nelle vaste aree rurali del Paese, “dove sono diffusi ignoranza e povertà”.
Ma chi è che ha soffiato e continua a soffiare sul fuoco della crisi siriana? Saadeh non ha dubbi in proposito, e punta l’indice verso più attori dello scacchiere geopolitico. Anzitutto, riconosce che “c’è una questione interna al Paese”, strumentalizzata però per servire “l’interesse di alcuni Stati della regione mediorientale e di alcuni membri della Comunità internazionale a rovesciare il regime siriano”. Le fonti d’energia che possiede la Siria sono, del resto, un obiettivo molto ambito da Paesi come il Qatar e l’Arabia Saudita, che “finanziano e armano i gruppi islamisti che combattono contro Assad”.
Quando parla della Turchia poi, la voce di Saadeh assume un tono oltremodo costernato, poiché accusa il governo Erdogan di avere una “doppia faccia”. “Da una parte sostiene tutti i gruppi islamisti, tanto che nel suo territorio si trovano campi d’addestramento dei ribelli” e “dall’altra fa la faccia bella di fronte all’Occidente e all’Europa mostrandosi come un Paese moderno e civile”. “Ankara – ritiene Saadeh – non ha mai abbandonato le sue velleità ottomane e considera la Siria come una costola del suo impero”.
Rivela inoltre con sommo dispiacere che un ruolo determinante nell’alimentare la crisi siriana è stato giocato dalla Francia, “un Paese che per decine di anni ha avuto rapporti splendidi con la Siria”. Oggi, tuttavia, “i soldi degli emiri del Qatar” hanno fatto sì che Parigi rivedesse le sue scelte di politica estera nel Medio Oriente. C’è poi l’ingerenza degli Stati Uniti, influenzati dalle “lobby delle armi e del petrolio”, e che inoltre “hanno tutto l’interesse a rafforzare la loro alleanza con Israele e dunque a modificare i regimi della regione ad esso ostili”.
Da questo caleidoscopio di cinici interessi politici e finanziari emerge la realtà più triste, quella di un popolo piegato dai patimenti di una guerra che sembra non finire mai. La minoranza cristiana ne subisce atroci conseguenze. Sadeeh accusa “quelle forze internazionali che in passato parlavano di un nuovo Medio Oriente”, basato sull’instaurazione “di regimi su base religiosa” e possibile soltanto con il rovesciamento dei “regimi laici” e “l’allontanamento dei cristiani dalla regione”. Ebbene, per costringerli ad abbandonare il proprio Paese, il mezzo utilizzato è stato quello del terrore che infesta oggi la Siria: “Attacchi alle scuole cristiane, alle chiese, rapimenti di sacerdoti e barbari omicidi anche di bambini molto piccoli”.
Un fenomeno stigmatizzato da tutto il popolo siriano. “Anche i musulmani siriani riconoscono – afferma Saadeh – che i loro corregionali cristiani rappresentano l’ago della bilancia per gli equilibri di tutto il Medio Oriente”. La presenza dei cristiani, dunque, costituisce “un patrimonio mondiale” e una “garanzia di stabilità”. “L’Occidente deve perciò favorire questa presenza e non invitare i cristiani ad abbandonare la loro terra”. Questo contributo può avvenire “soltanto esercitando pressioni forti su quei Paesi che finanziano e sostengono il terrorismo in Siria”.
L’oggetto della nostra conversazione a questo punto cambia, passando da chi fomenta la guerra a chi sostiene la causa della pace. L’incontro tra Papa Francesco e il presidente russo Putin, avvenuto lunedì scorso in Vaticano, è considerato da Saadeh un “gesto simbolico importante, poiché è l’unione tra uno Stato che finora ha sempre protetto la Siria dai tentativi di un attacco esterno e uno Stato che porta avanti la cultura della pace in tutto il mondo”. Nei prossimi giorni, è convinta Saadeh, “si avranno già le prime conseguenze positive di questo incontro”. Forse ancor prima della conferenza di pace “Ginevra 2”, prevista per il 22 gennaio.