La Dottrina Sociale Cattolica è spesso fraintesa e, altrettanto spesso, semplicemente ignorata. Un libro di recente pubblicazione cerca un rimedio a questa pecca, fornendo una panoramica di oltre un secolo di documenti pontifici.
“Per molto tempo a venire, questo libro potrebbe essere ritenuto l’opera definitiva sull’insegnamento economico dei papi moderni”, dichiara l’economista Michael Novak nella sua prefazione a Papal Economics: The Catholic Church on Democratic Capitalism, From Rerum Novarum to Caritas in Veritate (L’economia dei papi: la Chiesa Cattolica e il capitalismo democratico, dalla Rerum Novarum alla Caritas in Veritate), edito da ISI Books.
Autore del saggio è Maciej Zieba OP, sacerdote domenicano polacco, buon amico di Giovanni Paolo II. Zieba è il fondatore dell’Istituto Tertio Millennio, con sede a Cracovia, sorto nel 1996 con la funzione di forum per lo scambio di idee e in particolare per approfondire l’insegnamento sociale della Chiesa.
Zieba spiega che il suo libro ha lo scopo di correggere i falsi miti sulla dottrina economica della Chiesa. L’autore argomenta anche che le encicliche sociali manifestano una continuità che a molti sfugge.
Già nel 1891, ad esempio, la Rerum Novarum esprimeva un deciso rifiuto del socialismo. In genere le encicliche appoggiano l’economia di mercato ma mettono anche in luce, i pericoli che questo comporta.
Quando nel 1931 scrisse la Quadragesimo Anno, in un contesto di depressione economica mondiale, papa Pio XI, con la sua critica ai fallimenti del liberalismo, non intendeva alleggerire la sua opposizione al socialismo, osserva Zieba. Pio XI rigettava anche qualsiasi forma moderata di socialismo, combinata al Cristianesimo.
Trent’anni più tardi, Giovanni XXIII pubblicò la Mater et Magistra, che conteneva una difesa della proprietà privata e degli affari, ma esprimeva anche un desiderio di umanizzare le relazioni lavorative.
Zieba prosegue esaminando le encicliche successive ma sempre nel contesto del punto di vista manifestato all’inizio del libro. La Chiesa, spiega lo studioso, non si schiera per nessuna istituzione sociale in particolare. “Essa ci rimanda, più ampiamente, alle relazioni tra uomo, società e stato e alla preminenza della cultura sulla politica e sull’economia”.
Anche Giovanni Paolo II lo ha spiegato nella sua enciclica Sollicitudo rei socialis, del 1987: “La dottrina sociale della Chiesa non è una ‘terza via’ tra capitalismo liberale e collettivismo marxista”. Si tratta invece di una categoria a sé stante basata sulle complesse realtà umane, sulla fede e sulla tradizione della Chiesa.
A seguito del discernimento delle encicliche dal 1891 al 1987, gran parte del libro consiste in una dettagliata analisi dell’enciclica Centesimus annus (1991) di Giovanni Paolo II, che, come molti hanno sottolineato, spicca per la sua qualificata approvazione del libero mercato.
Uno dei capitoli conclusivi include uno studio sulla Caritas in Veritate di Benedetto XVI. Secondo Zieba questa enciclica evoca più lo spirito della Populorum progressio che non gli scritti di Giovanni Paolo II.
Uno dei principali argomenti messi in luce da Benedetto XVI è la globalizzazione. Il Papa emerito menziona in particolare due problemi relativi alla cultura. Il primo è l’eclettismo culturale, che porta a vedere le tutte le culture come sostanzialmente equivalenti ed interscambiabili. Il secondo è un livello culturale che porta a una indiscriminata accettazione di tutti i tipi di condotta.
Secondo Zieba, l’enciclica di Benedetto XVI è spesso in linea con la Centesimus Annus, ma presenta una concezione più negativa dell’economia moderna.
Nelle sue riflessioni conclusive Zieba torna a riflettere sul contributo che la Centesimus Annus offre alla dottrina sociale. In un passaggio, l’autore si domanda se la cultura liberale, l’economia e la politica cercheranno di eliminare il trascendente dalla vita pubblica.
Giovanni Paolo II, commenta Zieba, afferma davvero che è possibile costruire una società libera che sappia anche rispettare l’assoluto.
Ci sono, tuttavia, delle difficoltà nel riconciliare i due elementi, ammette Zieba. L’influenza dei pensatori illuministi e il più recente impatto della secolarizzazione ha allargato il gap tra il pensiero cattolico e il liberalismo.
Come sottolineò Giovanni Paolo II, il problema della tendenza verso l’individualismo e il relativismo è che essi minano lo stesso liberalismo in termini sia politici che economici.
Nella Centesimus Annus, Giovanni Paolo II spiegava che l’economia di mercato aveva bisogno di riconoscere l’importanza della verità trascendente e di una comune visione della dignità dell’uomo.
“Dove la cultura cristiana dà forma alla libertà, associandola con la responsabilità, la cultura illuminista produce una ideologia di libertà secondo la quale la libertà è giustificata in se stessa”, osserva Zieba.
Eppure, come Giovanni Paolo II osserva nella Centesimus Annus, “in un mondo senza verità, la libertà perde i suoi fondamenti”.
Zieba mostra come le encicliche sociali della Chiesa siano andate ben al di là delle problematiche economiche contingenti, poiché attirano l’attenzione sulle verità inerenti la persona umana.
A modo suo, conclude Zieba, la Chiesa può fornire assistenza vitale alla cultura liberale, insistendo sul bisogno di tenere unite la libertà e la verità. Rimane da vedere, aggiunge l’autore, se questa offerta sarà accettata.