Riproporre il messaggio del Vangelo alle famiglie, portare giovani, adulti e anziani sulle strade dell’evangelizzazione e testimoniare loro la fede: sono i tre obiettivi che Ernesto Avallone insegue in qualità di diacono nella chiesa newyorkese Blessed Sacrament di Bayside, nel Queens. Originario di Avellino, ma emigrato nella Grande Mela nel 1966, Avallone vanta una laurea in farmaceutica alla St. John’s University e dal 2000 lavora come farmacista al North Shore University Hospital di New York.
Sposato con Maria e padre di otto figli, per il suo «incarico religioso» egli ha messo a frutto la lunga esperienza maturata in famiglia e si è impegnato nella ricerca di un linguaggio capace di comunicare la fede ai cattolici d’oggi, quelli cioè che – lungi dal voler essere catechizzati – si aspettano invece stimoli e provocazioni. Accanto alle tre priorità sopra elencate, c’è un’altra questione che al diacono sta particolarmente a cuore: la frequenza dei fedeli ai sacramenti. «Il modo con cui i cristiani laici partecipano alla Messa fotografa la qualità della loro fede. In particolare – spiega Avallone –, la confessione è il sacramento che meglio rivela la connessione tra verità di fede e scelte di vita».
Spesso, però, per prendere la giusta decisione, al cristiano serve un supporto «esterno». «Nessuna agenzia umana possiede una tale schiera di donne e uomini interamente votati alla causa del Regno del cielo, come è invece la Chiesa – continua il diacono –. Pertanto il nostro compito è di mettere in campo tutte le energie possibili per riportare i fedeli alla loro condizione originaria di discepoli che seguono il Signore e lo annunciano con le proprie azioni». Non a caso, a detta di Avallone, evangelizzare significa al contempo prestare attenzione alla missione della Chiesa, alla dignità del lavoro e al valore della famiglia.
Matrimonio, strada di santità
In un mondo in cui il concetto più genuino del termine «famiglia» sta cadendo sotto i colpi dell’individualismo e del progressivo allontanamento dalla natura, Ernesto Avallone non si cura di andare controcorrente. «Dove due esseri umani si fanno reciprocamente dono di sé e insieme donano la vita a dei figli, lì si tocca la sacralità, il mistero della natura umana, che va ben oltre il diritto di disporre di sé – precisa il diacono –. Non si appartiene infatti solo a se stessi. In ogni uomo e donna è presente il mistero divino».
In contrasto con la mentalità diffusa che vede il rapporto di coppia come una questione privata, dominata dal desiderio e dal piacere del singolo, Avallone sostiene invece una famiglia dalla forte connotazione pubblica e sociale. «È soprattutto alla famiglia, e non allo Stato, che spetta il ruolo di cellula della società civile e il compito di educare i futuri cittadini ai valori morali e cristiani».
Orgoglioso dei suoi otto figli e memore dei tanti matrimoni che in questi anni di servizio a Blessed Sacrament ha officiato, Avallone non si stanca mai di ribadire il vero significato dell’unione tra marito e moglie. «In quanto sacramento, il matrimonio è una strada verso Dio, una strada di santificazione. Pertanto la famiglia non può essere valutata sulla base di criteri puramente terreni, quali la situazione economica o l’appagamento dei propri desideri». Essa presuppone anzi sacrificio e impegno prima di tutto spirituale. I coniugi non possono cedere alle prime difficoltà, né tantomeno abbandonarsi allo sconforto, perché fare famiglia significa condividere sia gli onori che gli oneri.
«Famiglia e matrimonio si pongono come una barriera contro la banalità dell’amore, contro la mentalità dell’usa e getta, contro la riduzione dell’affetto coniugale a criteri economici ed effimeri», aggiunge il diacono.
In coppia, a servizio della Chiesa
A proposito del suo «lavoro spirituale», Ernesto Avallone non ha dubbi: si tratta di una vera e propria «missione» a servizio della Chiesa. Un po’ come quella che anche la moglie Marisa porta avanti da diversi anni nella comunità cattolica di Bayside. «Se io predico, battezzo, visito malati, coordino le veglie per i defunti e celebro matrimoni – spiega il diacono –, mia moglie è catechista e coordinatrice dell’educazione religiosa per gli adulti in parrocchia. Entrambi puntiamo su una pastorale viva e gioiosa, improntata al Vangelo e alla presenza della Chiesa».
Uniti dallo stesso affetto e dai medesimi ideali, Marisa ed Ernesto sanno bene che amare Cristo significa amare la Chiesa, di cui Gesù è fondatore e capo, sposo e salvatore. «La Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè come strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità del genere umano – continua Avallone –. Al di fuori della dimensione sacramentale, non possiamo che avere una visione superficiale della Chiesa, addirittura errata».
Accanto alla sfera familiare e spirituale, un altro ambito che, secondo il diacono, rientra di diritto nel suo programma pastorale e che merita tutta la cura possibile è quello del lavoro, inteso come dimensione fondamentale dell’esistenza umana, perché riveste un significato tecnico, ma anche etico. «In quanto cristiano – prosegue Avallone –, vedo la mia professione di farmacista come un’occasione di solidarietà, un aiuto per rendere i miei clienti partecipi al banchetto della vita».
Non è un caso se, nelle sue prediche, il diacono condanna lo sviluppo economico fondato sul solo profitto, che porta alla corruzione. Per Avallone è indispensabile che la comunità civile si basi su valori morali di derivazione spirituale. È già capitato, infatti, che una logica economica esclusivista, invadendo tutti i campi dell’esistenza, abbia infine compromesso il rispetto per la persona umana. «Non si tratta di un problema che interessa solo il Terzo Mondo – sottolinea il diacono –. Anche in metropoli come New York vi sono fabbriche che, attraverso i loro rifiuti, contaminano l’ambiente e rendono l’aria irrespirabile».
E che dire poi di quelle ondate di migranti che, sbarcate in città, si ammucchiano nelle periferie, abbandonate a se stesse, alla disperazione e alla miseria? È proprio in quei quartieri (peraltro in espansione) che i giovani, «imprigionati» tra il traffico e il cemento, faticano a sviluppare le loro energie fisiche e spirituali.
Come fare, dunque, per rendere le città del futuro veramente umane? Primo passo, secondo Ernesto Avallone, è quello di conferire al lavoro un senso e una logica umani, nella consapevolezza che tutti possono migliorare le cose dentro e fuori di sé.
«Come cristiani siamo chiamati dal Signore, per la ristrutturazione umana della città, ad assumere le nostre responsabilità. La fede ce ne fa un dovere – conclude il diacono newyorkese –. Fede, esperienza e lavoro ci daranno luce ed energia per camminare lungo il sentiero che Dio ha tracciato per noi, al servizio del prossimo».
di Al Barozzi
(Articolo tratto dal «Messaggero di sant’Antonio» edizione italiana per l’estero di novembre 2013)