Scoperto da ricercatori italiani dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli” di Roma il meccanismo con cui le proteine tossiche, che si accumulano nel cervello dei malati di Alzheimer fanno danni dall’interno delle cellule nervose, alterando le sinapsi e la trasmissione del segnale nervoso. Se a queste proteine viene impedito di entrare nel neurone, diventano innocue, ovvero dall’esterno della cellula sono incapaci di danneggiarla.
Sono i risultati importanti di una delle linee di ricerca condotte del team di Claudio Grassi, professore Ordinario di Fisiologia all’Università Cattolica di Roma, che ha tratteggiato i progetti in corso nel suo Istituto in partnership con altri centri di ricerca di fama mondiale. Le varie linee di ricerca attive sono state illustrate nel corso della sua prolusione “Active Aging: il contributo del nostro Ateneo alla ricerca dei meccanismi fisiologici che aggiungono salute alla longevità”, tenuta in occasione dell’Inaugurazione dell’Anno Accademico 2013-2014 dell’Università Cattolica a Roma, dopo gli interventi del Rettore Franco Anelli e del Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli” Rocco Bellantone.
Le linee di ricerca portate avanti sono molteplici e riguardano lo studio dei meccanismi dell’invecchiamento cerebrale e dei fattori che lo condizionano come un’alimentazione scorretta.
Nella ricerca sulla malattia di Alzheimer, presentata in anteprima a San Diego al Congresso della Società di Neuroscienze (SfN-Society for Neuroscience), il gruppo di Grassi ha descritto in dettaglio come il peptide β-amiloide, quando si accumula all’interno delle cellule nervose, le danneggia inesorabilmente. “Abbiamo caratterizzato, da un punto di vista funzionale, quale sia il danno provocato da questo accumulo ‘intracellulare’ di Aβ (in-Aβ), in termini di alterazioni della trasmissione sinaptica di base (ovvero, il meccanismo di ‘trasmissione’ del segnale da una cellula all’altra) e della plasticità sinaptica (ovvero, il meccanismo alla base della ‘memorizzazione’ delle informazioni)”.
“In particolare – spiega Grassi – ci siamo avvalsi di metodologie che ci consentissero di discriminare (‘isolare’) il danno causato da in-Aβ rispetto a quello prodotto da ex-Aβ. Abbiamo così dimostrato che se si blocca l’ingresso di ex-Aβ dal compartimento extracellulare al compartimento intracellulare o si contrastano i suoi effetti all’interno della cellula, ex-Aβ risulta fondamentalmente inefficace”.
“Queste nostre osservazioni – spiega il professor Grassi – cambiano il ‘modo di vedere’ il meccanismo d’azione di questa proteina tanto dannosa per la funzione cerebrale, richiamando l’attenzione della comunità scientifica sulla necessità di individuare i partners ‘intracellulari’ di Aβ piuttosto che concentrarsi, come taluni studiosi stanno facendo, sui recettori posizionati sulla membrana della cellula nervosa che interagiscono con le proteine tossiche.
Noi stiamo, tra l’altro, proseguendo i nostri studi alla ricerca di questi ‘partners’ intracellulari di Aβ, anche grazie a una collaborazione scientifica, recentemente attivata, con il RIKEN, che è il più importante e prestigioso Istituto di Neuroscienze in Giappone”.
“Nel corso degli ultimi decenni l’avanzamento delle conoscenze in ambito medico, l’affinamento delle metodologie diagnostiche, la maggiore consapevolezza dei fattori di rischio per varie patologie e dell’importanza della prevenzione, unitamente alla disponibilità di più efficaci strumenti terapeutici, hanno prodotto un significativo incremento dell’aspettativa di vita nella gran parte del mondo occidentale e, in particolare, nel nostro Paese – sottolinea il professor Grassi – . Questa constatazione pone, comunque, una domanda fondamentale: l’allungamento della vita reso possibile dal progressi della medicina si associa, al presente, a un parallelo guadagno in termini di salute? La risposta a questo quesito ha importanti implicazioni di carattere sanitario, sociale, economico e, non da ultimo, etico”.
Una delle grandi sfide della medicina del XXI secolo è rappresentata, quindi, dall’eliminare o, quantomeno, ridurre il “gap” tra longevità e salute.
Il nostro Ateneo ha mostrato una particolare sensibilità a questa sfida. Già da due anni, infatti, la Commissione Strategie di Ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ha scelto di investire risorse per supportare ricerche che ponessero a tema problematiche relative all’invecchiamento. Ed è in questo ambito che si inquadrano studi come questo sull’Alzheimer come pure tanti altri per capire l’impatto di fattori esterni come l’alimentazione sull’invecchiamento.