La sponsalità e la maternità di Maria a servizio della Chiesa

L’omelia del patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia, in occasione della Festa della Madonna della Salute

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Riportiamo di seguito il testo integrale dell’omelia di monsignor Francesco Moraglia, patriarca di Venezia, in occasione della santa messa celebrata stamattina nella basilica della Salute, in occasione della festa della Madonna della Salute.

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Carissimi confratelli nel sacerdozio, diaconi, consacrati, fedeli,

la festa della Madonna della Salute cade negli ultimi giorni dell’Anno della Fede; siamo profondamente grati a Benedetto XVI per averlo indetto e a Papa Francesco per averlo portato a compimento.

Nella celebrazione della Madonna della Salute – così cara per noi veneziani – desideriamo guardare alla Vergine beata perché “ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto” (Lc 1,45). Così s’esprime l’evangelista Luca parlando di Maria di Nazareth.

E Papa Francesco, in conclusione dell’enciclica Lumen fidei,  presenta la Vergine con queste parole: “…“terreno buono”: «Sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza» (Lc 8,15). Nel contesto del Vangelo di Luca, la menzione del cuore integro e buono, in riferimento alla Parola ascoltata e custodita, costituisce un ritratto implicito della fede della Vergine Maria. Lo stesso evangelista ci parla della memoria di Maria, di come conservava nel cuore tutto ciò che ascoltava e vedeva, in modo che la Parola portasse frutto nella sua vita. La Madre del Signore è icona perfetta della fede, come dirà santa Elisabetta: «Beata colei che ha creduto» (Lc 1,45). (Papa Francesco, Lettera enciclica Lumen Fidei, n. 58).

Per l’incarnazione, evento che in modo nuovo ed imprevedibile riguarda la storia della salvezza, Dio si affida a una donna.

Quando Dio, secondo l’espressione di san Paolo, inaugura la “pienezza del tempo” (cfr. Gal 4,4), compiendo il disegno salvifico iniziato con la creazione, sceglie una donna.

La nostra cultura e la nostra società, spesso, pensano e agiscono secondo canoni maschili se non, addirittura, maschilisti; dobbiamo, perciò, ritornare sulla scelta di Dio.

La più grande novità della storia – l’incarnazione – nasce da un gesto che solo una donna può compiere; infatti, il sì sponsale – o dono totale di sé – di cui Dio vuole servirsi si apre, spontaneamente, alla maternità e non può che essere gesto femminile.

Così, per entrare nel mondo e salvarlo, Dio si serve di una donna e, segnatamente, della sponsalità e della maternità. Siamo chiamati, allora, soprattutto negli attuali contesti post-moderni che si nutrono di “liquidità” e di precarietà, a riscoprire quanto sia essenziale ripartire da una cultura che ponga al centro i valori che la donna sa esprimere al meglio: l’accoglienza, la dolcezza e il sostegno.

L’umanità declinata al femminile è, insomma, sempre più necessaria per superare la sfida della competitività e della performance come logica quotidiana della vita.                    

Dio, nella “pienezza del tempo” (cfr. Gal 4,4), compie una scelta al femminile; avrebbe potuto iniziare in altro modo e, invece, ha voluto che tutto partisse da Nazareth.

L’incarnazione si dà in una cultura “maschile”, come è certamente quella biblica, e tale cultura – a tratti – si pone, addirittura, in termini “maschilista”… Eppure, al centro di tutto, Dio pone il “sì” sponsale di una donna.

Prima di tutto c’è questa giovane donna, poco più che adolescente, alle cui mani Dio affida il destino del mondo; a Lei la scelta che viene prima di tutte le altre e dalla quale ogni altra scelta consegue.

Per la salvezza dell’umanità, quindi, Dio si rivolge a una donna e in tale scelta ci dà un messaggio chiaro, attuale e urgente, qualcosa che le culture e società – del nostro evoluto Occidente e non solo – devono cogliere quanto prima.

Oggi, la nostra cultura – e non solo essa – fatica a trovare spazi congrui per  la donna, per la sua creatività e per il suo estro particolare. Ma una società plasmata, quasi esclusivamente, da modelli maschili finisce per assumere forme di maschilismo, con tutte le conseguenze che derivano.

Una maggiore recezione del “femminile” nella nostra società e nelle nostre istituzioni plasmerebbe diversamente il nostro complessivo stile di vita e le conseguenti scelte culturali; siamo, infatti, troppo spesso segnati solo dal “maschile” e dai suoi veri o presunti valori che si affermano in modo unilaterale non completandosi con quelli della femminilità.

Anche nella Chiesa la donna è chiamata a dare un suo specifico contributo; è una questione che chiede d’esser affrontata con coraggio, non perdendo di vista che ci si muove in ambito teologico e non sociologico o di pura antropologia culturale.

Si tratta di aprirsi maggiormente alla verità del progetto di Dio contenuto nella divina rivelazione e non riducendo tutto – si tratterebbe, infatti, di vera “riduzione” – al livello sociologico e di un’antropologia culturale che ha come criterio di verità l’ “esistente” o un acritico “…ormai usa così”. Si darebbe prova, in tal caso, di una povera teologia e di un carente senso di profezia cristiana.

Il genio femminile merita certamente più attenzione e maggior cura anche nella Chiesa, ma sarebbe errato ridurre la promozione della donna a un rivendicare qualcosa che appartiene al mondo maschile; in tal modo si finirebbe per ribadire – una volta di più – come la promozione della donna avvenga solo facendola assomigliare di più all’uomo, consentendole e conferendole, appunto, ruoli maschili. E questo ribadirebbe come il “maschile” detti le sue regole, ponendosi come modello da imitare o, almeno, di riferimento.

Se invece guardiamo alla scelta di Dio, appare la sua piena libertà nel concentrare tutto sulla femminilità di Maria: donna, sposa, madre.

Non è quindi dall’apostolo Pietro (linea petrina) – il collegio apostolico, i Dodici che pure ricevono il mandato apostolico – ma da  Maria di Nazareth (linea mariana) che ha inizio la Chiesa, nelle sue origini e nel suo nucleo più stabile e santo.

Non si tratta allora – come taluni pensano – di risolvere tutto con l’accesso ai ruoli maschili da parte della donna ma, al contrario, di riconoscere che strutturalmente la Chiesa – nella sua realtà costitutiva – è femminile e tale rimane mentre soltanto una parte di essa – la funzione, pur essenziale, del sacerdozio ministeriale – è maschile.                                                                                                                                                                   

Se cerchiamo, insomma, l’icona piena della Chiesa dobbiamo andare a Maria e al suo essere donna, sposa e madre tanto che, a ragione, Maria di Nazareth è stata definita, in modo opportuno e felice, Chiesa nascente.

Così, al principio e di fronte a Dio, quando s’inaugura “la pienezza del tempo” (cfr. Gal 4,4)troviamo questa giovane donna perché Dio ha privilegiato e ha scelto l’umanità al “femminile”.

In tal modo, presente in Maria di Nazareth, al momento dell’annunciazione, vi è tutta l’umanità e Maria risponde a Dio con il suo “sì” sponsale, un “sì” specificamente femminile; questo segnerà gli esordi e permarrà come cifra stabile della salvezza.

Maria è, in tal modo, l’archè, ossia l’inizio nel senso forte del termine, l’inizio che genera e permane nel futuro; non è solamente un “prima” temporale che cronologicamente precede un “dopo” che lo segue, ciò sarebbe ancora poco. Il “sì” di Maria è inizio perdurante che rimane, in ogni ulteriore sviluppo; Maria è il nucleo fedele e stabile della Chiesa a part
ire dal quale la Chiesa non verrà meno.

E, nella sua persona, Maria è la sposa che, esente dal peccato perché Immacolata, è e rimarrà fedele al suo sposo, a Gesù, il Signore. In tal modo Lei è l’inizio della salvezza, è la Chiesa nascente, è la donna, è la sposa, è la madre.

Maria, alla fine, è l’umanità a cui Dio guarda e si rivolge per iniziare l’intero discorso salvifico; in Maria la figlia di Sion -Israele – diventa l’universale Mater divinae gratiae.

Di fronte all’altra porzione dell’umanità – quella al “maschile” – c’è l’umanità al “femminile” ed è grazie al “sì” di Maria che si realizza la profezia dell’Emmanuele, il Dio con noi.

La Chiesa – come detto – nel suo nucleo più intimo e originario è mariana e, quindi, donna; c’è stato un momento, infatti, in cui la Chiesa ha coinciso ed è stata tutta racchiusa nell’ “io femminile” di Maria, nel suo grembo verginale di sposa e di madre.

L’umanità che sta di fronte a Dio, nel “sì” dell’incarnazione, è costituita proprio nel “sì” sponsale e materno di questa donna, il “sì” che solo una donna poteva pronunciare. Qui il maschile non c’entra.

Ed è in questo “sì” che viene accolta e prende forma la novità per eccellenza, ossia il nuovo mondo redento, capace di bontà, di verità e di bellezza, nonostante l’odio, la menzogna e le brutture che lo circondano e con cui deve dolorosamente misurarsi.

Così la dimensione mariana o femminile della Chiesa sempre  precede – viene prima – ed è più profonda di quella petrina o maschile che si identifica ed esplicita nel ministero ordinato e nel suo esercizio.

In una società maschile, come quella ebraica di duemila anni fa, tutto ciò non era scontato; non era per nulla scontato che Dio si rivolgesse ad una donna, alla fanciulla di Nazareth, unico frammento della creazione privo di peccato.

Il volto dell’Immacolata non è un volto maschile ma femminile, non è appunto volto di uomo ma di donna; è il volto di una giovane donna che porta in sé il suo Signore.

E la preghiera liturgica della Chiesa, che ne esprime la fede, assumendo le parole del Sommo Poeta la definisce senza mezzi termini e in modo sublime: “…umile e alta più che creatura, termine fisso d’eterno consiglio, tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti, sì che ‘l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura… Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia ed a te non ricorre, sua disianza vuol volare sanz’ali”.

Mentre giunge a compimento l’Anno della Fede, nel giorno a noi veneziani così caro perché dedicato alla Madonna della Salute, guardiamo a Maria, la donna, la madre: può dare un nuovo senso alle nostre relazioni personali e sociali, spesso così stanche e affaticate da una cultura maschile e talvolta maschilista dove la competizione, la lotta per primeggiare e la performance condizionano e falsamente regolano gli equilibri tra le persone e le generazioni.

Alcuni episodi di vandalismo verificatisi di recente qui in Veneto – e che hanno interessato luoghi di devozione e la stessa effige della Madre del Signore – ci fanno, purtroppo, riflettere con vera tristezza sui modelli educativi e di comportamento di chi pone in essere tali gesti. Preghiamo per “riparare” l’offesa ma anche per coloro che hanno compiuto tali gesti, Dio voglia per superficialità e ignoranza e non per aver deliberatamente consegnato le proprie persone al Male. 

Se la nostra società post-moderna, per tanti versi così sfibrata e stanca da essere incapace di generare ed educare, attingesse di più al genio e al talento femminile che in Maria di Nazareth raggiunge il suo vertice, scopriremmo tutti nuove possibilità  per rigenerare e rigenerarci.

L’Anno della Fede che si chiude sotto il segno di Maria, la “donna vestita di sole” (cfr. Ap 12,1), ci consegna proprio in Lei – Maria di Nazareth, il “femminile” nel piano di Dio – la grande risorsa per la Chiesa e la società.

La Madonna della Salute interceda per la Chiesa di Venezia e per tutti i veneziani.

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ZENIT Staff

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