La maternità posticipata con l’aiuto della fecondazione in vitro (FIVET) è una pratica sempre più comune, ma le donne possono essere indotte ad illudersi riguardo alle loro possibilità di successo.
È una delle principali tesi espresse nel nuovo libro di Miriam Zoll Cracked Open: Liberty, Fertility, and the Pursuit of High-Tech Babies (Interlink Books).
La prefazione al volume, affidata a Michele Goodwin, docente di legge alla Minnesota Law School, e a Judy Norsigan, direttore esecutivo di Our Bodies Ourselves, sottolinea che, secondo un sondaggio, una coppia su otto ha problemi di infertilità.
Ed aggiunge: “Molta gente non si rende conto della portata di ciò a cui partecipa, ovvero un vasto esperimento, dove la medicina dell’evidenza deve ancora stabilire un punto d’appoggio ragionevole”.
C’è anche l’argomento – commentano i prefatori – dello sfruttamento di donne economicamente svantaggiate, specialmente in India, come madri surrogate. Ogni anno circa 25mila coppie si recano in India per usufruire della disponibilità di donne disperate per mancanza di soldi.
Come esponente dell’ultima generazione di baby boomers Zoll afferma: “Dal nostro punto di vista, la scienza e la tecnologia erano il nuovo Dio, poiché davano alle donne in un’età considerata proibitiva per il concepimento, la possibilità di farsi una famiglia”.
Zoll si è sposata all’età di 35 anni e, inizialmente, non aveva intenzione di concepire alcun figlio, come lei stessa ha ammesso. Solo dopo i 40, si è finalmente resa conto, che era tempo di pensare alla maternità. I suoi sforzi di usare la FIVET, tuttavia, non avevano avuto successo.
Il libro descrive dettagliatamente i traumi emotivi e le crisi attraversate dall’autrice e da suo marito quando compresero di non poter avere figli.
“La strada verso la genitorialità attraverso mezzi scientifici è costellata di trappole con serpenti e oli combustibili”, ha esclamato Zoll, dopo che il terzo ciclo di FIVET si era risolto in un aborto spontaneo.
L’autrice sottolinea anche che, dopo il quarto ciclo di FIVET, le delusioni avevano segnato il rapporto con suo marito e la sua intimità personale. “Il sesso per noi era ormai sinonimo di stress – ha affermato -. Ciò significa siringhe, laboratori, provette. Il sesso era associato alla delusione, al senso di colpa e al dolore”, ha proseguito.
I fallimenti con la FIVET, portarono Zoll a prendere in considerazione la donazione di ovuli ma, “la surreale esperienza di usare la donazione di ovuli, aveva il sapore di un’alta tecnologia che giocava a fare Dio. Aveva il sapore del mio narcisismo e della mia ossessione verso la procreazione”, ha detto.
Zoll andò quindi a scegliere due donatrici di ovuli presso un’agenzia ma entrambe si rivelarono sterili. Migliaia e migliaia di dollari che non avevano portato a nulla.
“Negli ultimi 35 anni la potente combinazione delle strategie di marketing della medicina riproduttiva e la tendenza dei principali media a sovrastimare il potenziale delle nuove tecnologie, ha portato a un’epidemia globale di disinformazione sull’età in cui la fertilità di una donna inizia naturalmente a declinare e sul potere della medicina moderna di invertire questo processo”, conclude.
L’esperienza di Zoll ha ricevuto copertura dal New York Times: “La scienza medica ha compiuto grandi passi avanti, salvando la vita di molte persone – ha affermato in un editoriale pubblicato lo scorso 12 settembre, e co-firmato con Pamela Tsigninos -. Ma quando si tratta di tecnologie per la riproduzione assistita, la scienza fallisce molto più di quanto in genere si crede”, ha aggiunto.
L’autrice osserva che, secondo la Società Europea di Riproduzione Umana e di Embriologia, c’è un complessivo 77% di fallimento globale dei cicli di riproduzione assistita.
“Una volta dentro il surreale mondo della medicina riproduttiva, non c’è nessuna scontata via d’uscita; ci rimani fino a quando il tuo conto in banca o la tua assicurazione sanitaria non si esauriscono”, commenta l’articolo.
Ci sono poi le complicazioni che emergono dall’uso di donatori e surrogati. Un articolo, pubblicato lo scorso 18 giugno sul quotidiano canadese Ottawa Citizen, riferisce il caso di due lesbiche, una delle quali ha fornito gli ovuli, l’altra che ha portato il bambino in grembo, con lo sperma fornito da un donatore anonimo.
Chi è la madre? Entrambe le donne volevano essere registrate come madri ma la legislazione locale non lo consente.
Venendo alla questione dei diritti dei figli della procreazione eterologa, il sito web Public Discourse ha pubblicato un articolo lo scorso 2 agosto, che parla della creazione di un tipo di persone “manufatte”.
La schiavitù, osserva Alana S. Newman, fondatrice dell’Anonymous Us Project, è stata abolita e, “con essa è scaturita non solo la nozione che tu puoi possedere un altro essere umano ma anche che puoi separare una persona dalla sua discendenza biologica”.
Inoltre è illegale abbandonare un figlio, anche se è stato concepito in un rapporto occasionale. Eppure oggi permettiamo la maternità surrogata e i donatori anonimi. “Le persone non dovrebbero essere in vendita”, ha dichiarato.
Questi dubbi si verificano in un tempo in cui il numero di figli concepiti dalla FIVET è raddoppiato rispetto allo scorso decennio, ha riportato il New York Times lo scorso 30 agosto. Il comitato etico della Società Americana per la Medicina Riproduttiva (ASRM) afferma che è “eticamente accettabile” per le cliniche trattenere gli embrioni abbandonati se almeno cinque anni sono passati dal contatto con la coppia (cfr. National Post,10 settembre): ciò significa che decine di migliaia di embrioni congelati sono legittimi bersagli di morte.
Questo dato, assieme alle esperienze di donne come Zoll, dimostra che la non nuova opposizione della Chiesa Cattolica alla FIVET è davvero ben fondata.