Il Signore ha disposto che, dopo un’attesa durata secoli, fosse un Papa che ha assunto il nome di Francesco a estendere alla Chiesa universale il culto liturgico in onore della beata Angela, iscrivendola nel catalogo dei santi. Era stato Benedetto XVI ad autorizzare la Congregazione delle cause dei santi a dare una forte accelerazione al processo di canonizzazione della grande mistica folignate, vissuta nella seconda metà del Duecento, derogando alla comune prassi in virtù di un culto antico, universale e ininterrotto.
Il 13 ottobre 2010, nell’udienza generale dedicata ad Angela, Papa Ratzinger ebbe a dire che, «di solito, si è affascinati dai vertici dell’esperienza di unione con Dio che ella ha raggiunto, ma si considerano forse troppo poco i primi passi, la sua conversione, e il lungo cammino che l’ha condotta dal punto di partenza, “il grande timore dell’inferno”, fino al traguardo, l’unione totale con la Trinità».
Il cammino di conversione di Angela, che proprio ad Assisi diventerà un itinerario d’altura, è un percorso di progressiva spoliazione: dalle cose, dagli affetti, da se stessa. Interamente riferita a Dio, perfettamente libera per Lui, niente fra lei e Dio: questo è il ritratto più completo di Angela. Alla scuola di san Francesco che ha attuato l’obbedienza nella sua forma più pura, l’obbedienza nuda, ella ha appreso a “far sacrificio di se stessa a Dio”, sperimentando che senza questa deposizione, intesa come dono di sé e vissuta come abbandono alla fedeltà di Dio, col passare del tempo si corre il rischio di pretendere persino gli “interessi” di quanto si presume di aver lasciato. Il peso della nostalgia, infatti, rende insostenibile il carico della malinconia di chi si ostina a tenere la vita per sé, limitandosi a spendersi senza donarsi.
L’avventura spirituale di Angela ha trovato il suo baricentro nella sapienza della Croce e il suo epicentro nello stupore eucaristico. Ella intuiva chiaramente che senza la Croce l’Eucaristia sarebbe vuota e, d’altra parte, senza l’Eucaristia la Croce sarebbe irraggiungibile. È alla scuola della Croce che Angela ha trovato nella contemplazione di Cristo crocifisso il “punto di perfetto equilibrio” fra amore e dolore. È all’ombra della Croce che ella ha sperimentato che il dolore è il sigillo di garanzia dell’amore e che l’amore traduce la sofferenza in offerta. È mettendosi accanto all’Addolorata che Angela ha appreso l’arte di lasciarsi avvolgere dallo sguardo di Gesù sulla Croce. È accostandosi alla Croce, mossa dallo Spirito santo, che Ella ha attinto alla sorgente inesauribile del Cuore mite e umile del Cristo passionato, avvertendone la forza di attrazione. Entrando nello “spessore” della Croce, Angela ha sperimentato qualcosa di analogo a quello che accade quando si guardano le finestre con vetrate istoriate: viste dall’esterno appaiono scure, pesanti, addirittura tetre; osservate dall’interno, riflettendo la luce che le attraversa, prendono vita e rivelano tutto il loro splendore.
Nella Croce Angela ha trovato il criterio di verifica della sua esperienza mistica. Ella ha osservato sine glossa questa regola dei Padri del deserto: «Non cercare la perfezione nelle virtù umane perché non si trova perfezione in esse; la perfezione è nascosta nella croce di Cristo». Nel letto della Croce, Angela scopre il talamo delle nozze pasquali dell’Agnello. «L’itinerario di Angela — scrive Enrico Menestò nell’edizione critica del Memoriale da lui approntata — non è tanto un andare verso Dio, ma un andare dentro Dio». La meta finale dei suoi passi non sarà il giacere nella Trinità, bensì il giacere della Trinità in lei. Ne dà testimonianza nel Memoriale, che il cardinale Gianfranco Ravasi chiama “un’autobiografia dalla stesura mediata, brulicante di visioni sospese tra l’autobiografismo e l’estasi”. Il Memoriale è la prima parte di un più vasto corpus di testi denominati semplicemente Liber, raccolti dalla viva voce di Angela la quale, a giudizio del cappuccino Giovanni Pozzi, «è la prima voce italiana il cui suono ci arrivi per il canale diretto della rivelazione personale, non della leggenda pia».
Scorrendo il Liber — nella nuova e originale traduzione, curata da monsignor Fortunato Frezza, del Codice di Assisi — l’occhio si ferma su una pagina delle Instructiones, che rivela la misura alta della santità di Angela, profonda conoscitrice dell’abisso del cuore umano. «Non c’è niente al mondo, né uomo né demonio, di cui io abbia tanto sospetto come l’amore. Infatti l’amore penetra nell’anima più di una spada e più di qualunque altra cosa. E non c’è niente che occupi, attiri e leghi quanto l’amore. E quindi, se non si possiedono le armi per governarlo, facilmente fa crollare l’anima e ne fa grande strage. E non sto parlando dell’amore disonesto, perché l’amore disonesto deve essere totalmente evitato da tutti come cosa diabolica, pessima e malefica. Ma parlo dell’amore buono spirituale che si ha tra l’anima e Dio o tra persona e persona».
Questa pagina autobiografica lascia intendere quale sia la statura umana e spirituale di Angela da Foligno. Non sarà facile chiamarla con il titolo di santa, perché le labbra hanno preso l’abitudine a invocarla come beata, e tuttavia i cuori dei suoi devoti l’hanno sempre conosciuta come santa. Se sarà inevitabile fare qualche lapsus è bello ricordare che anche due Pontefici, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, l’hanno chiamata santa. Più che di un lapsus si è trattato, in entrambi i casi, di un segno premonitore. Non è stato certamente un caso, ma un chiaro segno di una “Provvidenza d’amore”, che la notizia della canonizzazione equipollente di Angela sia stata resa nota nell’anniversario dell’apertura dell’Anno della fede. E non certo privo di significato il fatto che Papa Francesco abbia iscritto Angela nel catalogo dei santi qualche giorno dopo l’annuncio della canonizzazione di Giovanni Paolo II, che per Angela ha sempre avuto una speciale venerazione. Scherzi da santi!
[Mons. Gualtiero Sigismondi è vescovo di Foligno]