Considerando novembre come “il mese della predicazione e della catechesi da dedicare particolarmente alla meditazione sul mistero della morte”, Mons. Vincenzo Bertolone, Arcivescovo di Catanzaro-Squillace, ai suoi sacerdoti, ai catechisti laici e alle persone di vita consacrata ha inviato una lettera pastorale che ispira a “guardare prevalentemente al significato del corpo umano che, progettato e voluto da chi, per amore, chiamò alla vita terrena, è insieme il segno della grandezza in rapporto con le cose, ma è anche la causa della debolezza e della fragilità da cui derivano malattie, sofferenze, invecchiamento e alla fine la morte”.
Desiderando riscoprire il significato profondo del corpo mortale in relazione allo spirito immortale, la lettera sottolinea che “il Figlio stesso di Dio, concepito da Maria Vergine per opera dello Spirito Santo, volle assumere la corporeità umana, anche se essa appare del tutto contingente e precaria”.
L’occasione per riflettere sulla propria esperienza cristiana è costituita in modo particolare dal mese di novembre che è “attestato dai primi secoli, allorché la commemorazione dei defunti veniva collocata a ridosso della comune meditazione sulla comunione di tutti i Santi, ovvero di coloro che godono già la piena comunione con Dio in Paradiso”. E risulta particolare la riflessione sulla morte di fronte alla quale “allo stuolo infinito dei trapassati, per i quali si invoca l’eterno riposo, l’occhio credente non si ferma neppure di fronte a una bara, a un’urna cineraria, a una fossa, a una lapide, ma sa procedere oltre per intravedere il futuro della risurrezione e della vita del mondo che sta per venire”.
E di fronte al giorno del giudizio individuale e finale dei defunti “l’occhio credente non prova terrore, ma neppure scherza o mangia dolcetti; soprattutto non esorcizza, anzi trasfigura il significato stesso del morire e addirittura invoca gli Angeli, affinché accolgano l’anima del defunto e la presentino al trono dell’Altissimo”. Ciò vuol dire che “il cristiano che alza le mani al cielo ed edifica la città sul Dio che è carità, affida il volo dell’anima come lungo la scala del sogno di Giacobbe, affinché essa possa procedere verso l’alto per ritrovare il senso dello stare in basso e rammenti, nella luce che viene dall’alto, che anche questo corpo mortale risorgerà, spiccando il volo verso il Paradiso, dove attende l’Amore in quanto Deus caritas est”.
Di fronte ai cari defunti si piange ma “le lacrime non possono essere quelle di chi è convinto che l’altro sia morto e non riposi in pace, anche se le lacrime servono comunque a vincere psicologicamente l’acerbità della fine. Come si esprime Ambrogio di fronte alla dolorosa perdita di suo fratello, anche noi tante volte – già soltanto da un punto di vista umano e psicologico – pur professando la fede nella risurrezione, ci ritroviamo presi da sentimenti di dolore, subiamo la forza della lacerazione e del rammarico, non riusciamo a frenare le lacrime di dispiacere di fronte alla morte degli altri, particolarmente se legati a noi da vincoli di sangue o di parentela”.
Purtroppo è ben chiaro che la morte è una situazione di necessità collegata alla condizione finita, contingente e mortale. Di conseguenza “se il morire è una necessità degli esseri mortali, l’aver avuto un fratello, un parente, un amico, un esponente dell’umanità… per tanti anni, va visto come dono e, insieme, come seme il cui esito sarà il frutto della risurrezione”.
E avviandosi alla conclusione Mons. Bertolone ricorda che “una ricchezza vera è la luce della fede circa il mistero del morire, una ricchezza che non è il denaro, ma l’occhio sapiente che vede le miserie degli uomini, le ipocrisie in mostra, i venditori di guerre e di pace, i lussi lucenti e gli avanzi di affamati, e ne resta incantato e compassionevole, mentre l’occhio credente veglia gli esseri umani e cerca di farli risalire alle sorgenti dell’anima come salmoni da cui deriva che la vera scienza nuova coincide con i canti spirituali dei redenti di Sion e dei risorti in Gesù”.
Tutto ciò fa comprendere perché si celebra un sacramento quando la malattia mette in serio pericolo la vita e perché si commemorano i fedeli defunti pregando per loro e per loro celebrando liturgie di suffragio, “invocando la luce perpetua e il riposo eterno in pace”. Ciò vuol dire che “nonostante la morte, siamo e restiamo annunciatori gioiosi del vangelo della risurrezione e della vittoria di Cristo sulla morte, il male e il peccato”. Mentre a Dio onnipotente si affidano le anime dei defunti, a tutti Mons. Bertolone fa giungere il suo amore paterno e materno facendo scendere, per intercessione della Vergine Madre del cielo, la sua benedizione nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, augurando a tutti “buona meditazione sul mistero della morte e della vita eterna”.