"Coltivare la speranza in campo educativo non è ingenuo"

Introduzione di mons. dal Covolo al II Incontro di Animatori della Pastorale Universitaria

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Pubblichiamo di seguito il testo dell’introduzione di mons. Enrico dal Covolo, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense, al secondo Incontro di Animatori della Pastorale Universitaria, svoltosi mercoledì 30 ottobre al Laterano.

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Introducendo questo incontro, desidero esprimere alcune convinzioni che ho maturato nella mia esperienza quarantennale di docente e di educatore salesiano, oggi chiamato al ministero episcopale di rettore dell’Università del Papa (che è, ancora una volta, un servizio educativo).

1. Come docente salesiano ho avuto la gioia e la grazia di incontrare moltissimi giovani. Tra di essi sono tanti coloro che ci autorizzano, con ragionevole speranza, alla possibilità di educare alla vita buona del Vangelo, secondo il titolo suggestivo degli Orientamenti Pastorali dell’Episcopato italiano per gli anni 2010-2020.

Tra i moltissimi esempi che potrei citare, vorrei ricordare una delle icone più belle del mondo giovanile contemporaneo, che in occasione della mia partecipazione alle GMG ho potuto contemplare di persona. Al di là del successo in termini di numeri, al di là delle diverse valutazioni che delle GMG si danno, alcune entusiastiche, altre più critiche, ci sono dei dati oggettivi: adolescenti e giovani, provenienti da tutto il mondo, accompagnati dai loro educatori, si radunano per ascoltare dei messaggi impegnativi; un pensiero non debole, ma forte, secondo il quale esiste una verità che valga per tutti; per accogliere una visione antropologica ispirata dalla ragione in armonia con la fede del Vangelo: una visione molto impegnativa, che richiede sacrificio e dedizione.

Ho incontrato nei lunghi anni di docenza presso l’Università Salesiana, incontro oggi all’Università Lateranense, giovani che hanno ideali alti e nobili da purificare, da liberare, da maturare.

2. C’è naturalmente una riflessione complementare. Non poche volte incontro educatori scoraggiati dagli insuccessi. Ci sono infatti fenomeni che fanno pensare: ragazzi sfiduciati e depressi, oppure giovani schiavi di dipendenze nocive, dall’alcool all’erotismo. Vi cito solo alcuni titoli di studi seri e aggiornati della sociologia giovanile, che cercano di ritrarre quello che sta capitando: Perché siamo infelici; L’epoca delle passioni tristi; Fragile e spavaldo, ritratto dell’adolescente di oggi. Un altro titolo eloquente è quello del saggio di Umberto Galimberti: L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani.[1]

Che cos’è il nichilismo? Non c’è niente per cui valga la pena vivere e morire, combattere e lavorare, sperare e soffrire. Di qui l’insaziabilità del desiderio e la ricerca di evasioni sempre più smodate, la mancanza di senso spirituale, l’analfabetismo religioso ed emotivo. Non apro il discorso sulle ricadute dell’uso dei personal media e dei social network, che con la strada sono ormai diventati luoghi dove incontrare i giovani e stabilire con loro una relazione educativa. Così come non lo apro sul bullismo scolastico.

Di fronte a questo quadro, che sembra indurci al pessimismo, allo scoraggiamento, all’inazione, Benedetto XVI, nella lettera inviata alla diocesi di Roma sul compito urgente dell’educazione, che ha poi ispirato gli Orientamenti Pastorali dell’Episcopato italiano, ci dice: «Non temete! Tutte queste difficoltà, infatti, non sono insormontabili. Sono piuttosto, per così dire, il rovescio della medaglia di quel dono grande e prezioso che è la nostra libertà, con la responsabilità che giustamente l’accompagna. A differenza di quanto avviene in campo tecnico o economico, dove i progressi di oggi possono sommarsi a quelli del passato, nell’ambito della formazione e della crescita morale delle persone non esiste una simile possibilità di accumulazione, perché la libertà dell’uomo è sempre nuova, e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni. Anche i più grandi valori del passato non possono semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una, spesso sofferta, scelta personale».[2]

3. Questo invito a coltivare la speranza in campo educativo non è ingenuo, pressappochistico, superficiale. Ce lo assicura quel grande genio della pedagogia, san Giovanni Bosco. Egli haelaboratouna metodologia educativa, nota come «sistema preventivo», che invita l’educatore a sviluppare le risorse di ragione e di fede che ogni giovane, anzi ogni uomo, porta con sé. [3]

Che cosa si intende per ragione nel sistema preventivo di don Bosco? A questa domanda ha dato una risposta penetrante il beato Papa Giovanni Paolo II, spiegando che essa è un’antropologia educativa e una metodologia dell’azione educativa: «Il termine ragione sottolinea, secondo l’autentica visione dell’umanesimo cristiano, il valore della persona, della coscienza, della natura umana, della cultura, del mondo del lavoro, del vivere sociale, ossia di quel vasto quadro di valori che è come il necessario corredo dell’uomo nella sua vita familiare, civile e politica… In sintesi, la ragione, a cui don Bosco crede come dono di Dio e come compito inderogabile dell’educatore, indica i valori del bene, nonché gli obiettivi da perseguire, i mezzi e i modi da usare. La ragione invita i giovani a un rapporto di partecipazione ai valori compresi e condivisi. Egli la definisce anche ragionevolezza per quel necessario spazio di comprensione, di dialogo e di pazienza inalterabile in cui trova attuazione il non facile esercizio della razionalità. L’educatore moderno deve saper leggere attentamente i segni dei tempi per individuarne i valori emergenti che attraggono i giovani: la pace, la libertà, la giustizia, la comunione e la partecipazione, la promozione della donna, la solidarietà, lo sviluppo, le urgenze ecologiche».[4]

Benedetto XVI, poi, ha fatto dell’amicizia tra fede e ragione una delle cifre, forse la più importante, del suo Magistero. La «ragione» del «sistema preventivo» di don Bosco, integrata e perfezionata dalla «religione», ricorda proprio il logos di cui il Papa emerito spesso parlava, un concetto largo e fiducioso della ragione umana: largo perché non è limitato agli spazi della cosiddetta ragione empirico-scientifica, ma è aperto alle questioni fondamentali e irrinunciabili del vivere umano; fiducioso perché, se accoglie le ispirazioni della fede cristiana e la legge sovrana dell’amore, è propulsore di una civiltà che riconosce la dignità della persona umana, l’intangibilità dei suoi diritti e la cogenza dei suoi doveri.

Don Bosco, da parte sua, che riscuoteva la simpatia e, spesso, l’appoggio materiale e morale persino degli anticlericali della sua epoca, diceva che lo scopo finale della sua proposta educativa era fare di ogni ragazzo «un buon cristiano e un onesto cittadino». Cioè una persona umana integralmente sviluppata, proprio come auspicano i Vescovi italiani nei loro Orientamenti Pastorali quando, in nome della crescita della persona umana e della sua verità, domandano all’università di operare con coraggio e larghezza di vedute.

4. Un altro suggerimento ci viene ancora da don Bosco, dalle sue intuizioni e dalla sua esperienza. Oggi, la società è plurale e complessa. Allora chi vuole fare una cosa non può fare a meno, senza mai perdere la sua ispirazione originaria e la sua identità, di stabilire collaborazioni, ed entrare in rete. Anche qui don Bosco offre un input metodologico. Ha chiesto la collaborazione di tanti, diversificata, proporzionata al contributo che ognuno poteva dare, ma non è mai stato un battitore libero, un solitario, anche se eroico. Ha creduto moltissimo nelle risorse del laicato, che ha coinvolto, entusiasmato, convocato. Non sempre ha avuto successo, ma non ha mai rinunciato a questo principio.

Il titolo di un saggio comparso sul tema dell’emergenza educativa è significativo: Organizziamo la speranza.[5] L’organizzazione include anche la raccolta delle risorse, la condivisione, la comunicazione, possibili forme di collaborazione, la nascita sul territorio di vere e proprie «costituenti» educative per sviluppare la metodologia del lavoro in rete. Non è questo un compito in cui le nostre istituzioni scolastiche e accademiche possono risultare propositrici e promotrici?

5. E concludo, ancora una volta con un riferimento personale.

Per alcuni anni, i Superiori religiosi mi hanno affidato l’incarico di Postulatore delle cause dei santi della Famiglia Salesiana. Ho avuto così la grazia di poter meglio conoscere quell’universo umano di splendide figure che sono i santi.

Tra di essi vorrei ricordare un collega, Giorgio La Pira, professore di Diritto romano all’Università di Firenze, dotato di una straordinaria competenza nella sua disciplina, educatore eccellente sempre ricercato dai giovani, con i quali intratteneva un dialogo vivo e attento alle loro esigenze, pronto, quando le circostanze lo richiesero, ad assumere gravi responsabilità civili e politiche, che svolse con quell’incidenza profetica che tutti, amici ed avversari, gli riconobbero.

Perché lo ricordo oggi? Perché voglio dire agli educatori che operano nell’ambiente della scuola e dell’università che l’esercizio della professione è la nostra vocazione per diventare santi, e per educare allievi santi: purché – proprio come il professor Giorgio La Pira – sappiamo assumere quelle competenze e quelle responsabilità educative, che fanno di un professore un uomo e una donna pensosi e operosi, sempre consacrati al bene.

+ Enrico dal Covolo

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NOTE

[1] U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano 20086. Leggiamo a p. 11: «I giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui. Le famiglie si allarmano, la scuola non sa più cosa fare…».

[2] Benedetto XVI, Lettera alla Diocesi e alla Città di Roma sul compito urgente dell’educazione, 21 gennaio 2008.

[3] Sull’argomento, vedi P. Chávez Villanueva, Il servizio salesiano ai giovani nel campo dell’educazione. Lectio magistralis in occasione del conferimento del Dottorato Honoris Causa presso l’Università Cattolica “Giovanni Paolo II” di Lublino, 18 novembre 2011.

[4]  Giovanni Paolo II, Iuvenum Patris. Lettera nel centenario della morte di san Giovanni Bosco 11, 31 gennaio 1988.

[5] F. Micciché, Organizziamo la speranza, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2001.

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Enrico dal Covolo

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