Alle ore 12 di oggi, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti all’Incontro Internazionale per la Pace promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, in corso a Roma dal 29 settembre al 1° ottobre, sul tema: Il coraggio della speranza: religioni e culture in dialogo. Riportiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti.
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Beatitudini,
Eminenze,
Illustri Rappresentanti delle Chiese, delle Comunità ecclesiali e delle grandi Religioni,
vi ringrazio di cuore per avere voluto compiere questa visita. Mi dà gioia! State vivendo intense giornate in questo Incontro che riunisce genti di religioni differenti e che ha un titolo significativo e impegnativo: “Il coraggio della speranza”. Ringrazio il Prof. Andrea Riccardi, per le parole di saluto che ha rivolto a nome di tutti, e con lui la Comunità di Sant’Egidio, per avere seguito con tenacia la strada tracciata dal Beato Giovanni Paolo II nello storico incontro di Assisi: conservare accesa la lampada della speranza, pregando e lavorando per la pace. Si era nel 1986, in un mondo ancora segnato dalla divisione in blocchi contrapposti, e fu in quel contesto che il Papa invitò i leader religiosi a pregare per la pace: non più gli uni contro gli altri, ma gli uni accanto agli altri. Non doveva e non poteva restare un evento isolato. Voi avete continuato tale cammino e ne avete accresciuto lo slancio, coinvolgendo nel dialogo significative personalità di tutte le religioni ed esponenti laici e umanisti. Proprio in questi mesi, sentiamo che il mondo ha bisogno dello “spirito” che ha animato quello storico incontro. Perché? Perché ha tanto bisogno di pace. No! Non possiamo mai rassegnarci di fronte al dolore di interi popoli, ostaggio della guerra, della miseria, dello sfruttamento. Non possiamo assistere indifferenti e impotenti al dramma di bambini, famiglie, anziani, colpiti dalla violenza. Non possiamo lasciare che il terrorismo imprigioni il cuore di pochi violenti per seminare dolore e morte a tanti. In modo speciale diciamo con forza, tutti, continuamente, che non può esservi alcuna giustificazione religiosa alla violenza. Non può esservi alcuna giustificazione religiosa alla violenza, in qualsiasi modo essa si manifesti. Come sottolineava Papa Benedetto XVI due anni fa, nel 25° dell’incontro di Assisi, bisogna cancellare ogni forma di violenza motivata religiosamente, e insieme vigilare affinché il mondo non cada preda di quella violenza che è contenuta in ogni progetto di civiltà che si basa sul “no” a Dio.
Come responsabili delle diverse religioni possiamo fare molto. La pace è responsabilità di tutti. Pregare per la pace, lavorare per la pace! Un leader religioso è sempre uomo o donna di pace, perché il comandamento della pace è inscritto nel profondo delle tradizioni religiose che rappresentiamo. Ma che cosa possiamo fare? Il vostro incontrarvi ogni anno ci suggerisce la strada: il coraggio del dialogo. Questo coraggio, questo dialogo ci dà speranza. Niente a che fare con l’ottimismo, è un’altra cosa. Speranza! Nel mondo, nelle società, c’è poca pace anche perché manca il dialogo, si stenta ad uscire dallo stretto orizzonte dei propri interessi per aprirsi ad un vero e sincero confronto. Per la pace ci vuole un dialogo tenace, paziente, forte, intelligente, per il quale niente è perduto. Il dialogo può vincere la guerra. Il dialogo fa vivere insieme persone di differenti generazioni, che spesso si ignorano; fa vivere insieme cittadini di diverse provenienze etniche, di diverse convinzioni. Il dialogo è la via della pace. Perché il dialogo favorisce l’intesa, l’armonia, la concordia, la pace. Per questo è vitale che cresca, che si allarghi tra la gente di ogni condizione e convinzione come una rete di pace che protegge il mondo, e soprattutto protegge i più deboli.
I leader religiosi siamo chiamati ad essere veri “dialoganti”, ad agire nella costruzione della pace non come intermediari, ma come autentici mediatori. Gli intermediari cercano di fare sconti a tutte le parti, al fine di ottenere un guadagno per sé. Il mediatore, invece, è colui che non trattiene nulla per sé, ma si spende generosamente, fino a consumarsi, sapendo che l’unico guadagno è quello della pace. Ciascuno di noi è chiamato ad essere un artigiano della pace, unendo e non dividendo, estinguendo l’odio e non conservandolo, aprendo le vie del dialogo e non innalzando nuovi muri! Dialogare, incontrarci per instaurare nel mondo la cultura del dialogo, la cultura dell’incontro.
L’eredità del primo incontro di Assisi, alimentata anno dopo anno anche nel vostro cammino, mostra come il dialogo sia legato intimamente alla preghiera di ciascuno. Dialogo e preghiera crescono o deperiscono insieme. La relazione dell’uomo con Dio è la scuola e l’alimento del dialogo con gli uomini. Papa Paolo VI parlava della “origine trascendente del dialogo” e diceva: “La religione è di natura sua un rapporto tra Dio e l’uomo. La preghiera esprime mediante il dialogo questo rapporto” (Enc. Ecclesiam suam, 72). Continuiamo a pregare per la pace del mondo, per la pace in Siria, per la pace nel Medio Oriente, per la pace in tanti Paesi del mondo. Questo coraggio di pace doni il coraggio della speranza al mondo, a tutti quelli che soffrono per la guerra, ai giovani che guardano preoccupati il loro futuro. Dio Onnipotente, che ascolta le nostre preghiere, ci sostenga in questo cammino di pace. E vorrei suggerire che adesso ciascuno di noi, tutti noi, alla presenza di Dio, in silenzio, tutti noi ci auguriamo vicendevolmente la pace.
[Pausa di silenzio] Grazie!
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