Chiara Paolini è la mamma di tre bambini, tra cui Emanuele (conosciuto come “Mele”), bambino di cinque anni, affetto da una gravissima disabilità causata da una malattia metabolica progressiva. Rara e incurabile. E nonostante che il male non gli permetta di parlare bene, sorridere, stare seduto, camminare, mangiare il bambino dipinge. Quadri coloratissimi su tele che hanno sbalordito anche i critici d’arte.
La mamma di Mele ha una forte sensibilità per i temi artistici, che la portano a far conoscere le opere del figlio; e per ovvi motivi per i temi che riguardano la disabilità. Per questo in questi giorni ha postato su facebook il messaggio che qui riporto integralmente col suo gentile permesso, perché ha uno sguardo profondo e chiaro sulla disabilità, sulla quale… si sprecano tante chiacchiere.
Uno sguardo di condanna verso chi giudica a freddo senza arrivare alle periferie dell’esistenza; ma soprattutto e implacabilmente uno sguardo che apre ognuno di noi ad una domanda inaspettata. Uno sguardo con parole forti, che nascono da una esperienza di combattimento con la burocrazia e col pietismo. Sono parole scritte, credo, di getto, dopo una “conversazione internettiana” con un “cristiano” che le ha lasciato molta amarezza.
Qui mi limito, a riportare le sue parole, solo mettendo dei capoversi per facilitare la lettura: nient’altro, perché è un testo che viene da chi è più abilitato a parlare di disabilità, per la passione che ha messo e la fatica che ha incontrato; e che sarà utile per tutti“.
Non c’è niente di eroico… tranne il sopportare il pietismo
Non c’è nulla di eroico nel far nascere i propri figli, nell’accudirli, nell’amarli. Nulla di straordinario. Quando qualcuno dice diversamente, vi inganna. Se sentite dire “ è eroico portare avanti la gravidanza di un bimbo deforme” o “quella donna è straordinaria a fare quello che fa per sua figlia handicappata”, non credetegli!
La prima frase sembra pia, comprensiva e di ammirazione, ma in realtà dice “per le persone normali, che non si sentono eroi, c’è sempre l’aborto” oppure “ Se non ce la fai abortisci pure, io ti comprendo, so che sei debole, peccatrice”.
La seconda frase sembra lodare l’abnegazione personale, ma è ancora più odiosa perchè dice che “accudire un disabile è qualcosa di alienante e faticosissimo”, “fare la mamma ad un disabile è qualcosa di non ordinario, che non rientra nella natura di essere mamma”, come se i bambini disabili fossero una specie di Adamo: nati senza ombellico, nati senza mamma.
Ancora peggio quando qualcuno, magari con la scusa di comprendere e “non giudicare” dice, a proposito dell’aborto, che “c’è caso e caso” e implicitamente traccia una linea di demarcazione tra chi è persona o chi è “abbastanza persona”. Tutti e tre questi pensieri vengono dal demonio.
Tutti siamo una risorsa
A volte si sente dire che l’aborto rientra tra le “scelte troppo personali”, che non si possono giudicare…Ma l’aborto non è affatto una scelta personale, perchè riguarda anche me! E si deve poter giudicare tra ciò che è bene e ciò che è male, altrimenti tutto diventa relativo, si perde l’orientamento.
Ci sono cose che sono “patrimonio dell’umanità”, alcune opere artistiche: la Torre di Pisa, Il David di Michelangelo, le composizioni di Mozart, il “Salve Regina” etc. Che c’entra? L’essere umano è un capolavoro! Quando una donna uccide suo figlio impedisce AL MONDO di ricevere quello che suo figlio avrebbe potuto dargli. Ha privato l’umanità di bellezza, gioia, creatività, genio, lavoro, passione, amore, vita, speranza e molto, molto altro. Ha privato anche me. E a me la cosa interessa.
Si potrebbe obiettare che un disabile gravissimo non “contribuisce per nulla” alla bellezza, al progresso, alla gioia dell’umanità, ed invece si sbaglia. La disabilità non dipende dalla menomazione fisica e/o mentale, ma dall’ambiente in cui essa si manifesta ed è tanto più grave quanto più l’ambiente è malato e peggiore.
Pensare ai disabili come persone inferiori è una triste profezia autoavverante… per fare un esempio banale, nella scuola, qualcuno, anche tra i dirigenti, crede che abbiano bisogno di assistenza, invece che di docenza specializzata e quindi peggiore educazione si traduce in effetti in minore outcome intellettuale…
C’è da notare che ci sono esempi di persone disabili terribilmente gravi che riescono a fare cose meravigliose, che diventano patrimonio di tutti; inoltre ogni persona, istituzione, ente, struttura, che sceglie di condividere tempo, cura, responsabilità e accudimento di un essere umano, in condizioni pessime, cresce e migliora parecchio….migliora come persona, come servizio, come efficienza, come tutto, impara un mucchio di cose. Tutte cose importanti.
Quindi anche il solo fatto di esistere per una persona, o un bambino molto malato, è beneficio per l’intera comunità. Sempre.
Chi abortisce e aiuta ad abortire con gesti, parole e silenzi, ha una responsabilità sociale e non solo personale, non solo verso il figlio, ma anche verso di me e verso il resto degli esseri umani. In particolare, la responsabilità della soppressione dei bambini disabili in utero è anche mia se, dopo l’esperienza avuta con i miei figli, non dico con chiarezza la verità: che la disabilità non deve far paura, che è bello fare la mamma. Non è meno bello se tuo figlio non è sano o non è perfetto: nessuno lo è.
L’ipocrisia peggiore: giudicare e abbandonare
Come è ipocrita però chi dice a qualcuno “fai nascere tuo figlio perchè abortire è un peccato o è un crimine”, senza fare nulla per aiutare.
Prima di dire una cosa del genere sarebbe meglio chiedersi “ se questa donna facesse nascere suo figlio, ma non lo volesse accudire, io sarei disposto a farlo?” Se la risposta è “si”, allora si può anche parlare, se è “no” meglio tacere e chiedere scusa a Dio, a sè stessi, agli altri.
Come è ipocrita dire ad una mamma, un papà “ Tu sei una donna forte, un uomo santo ad affrontare la malattia di tuo figlio” senza fare niente per dare una mano. Sarebbe bene chiedersi “ Se Dio mi offrisse di avere i miei figli malati, come risposta al mio desiderio di farmi santo, gli direi di “si, grazie”? ” Se la risposta è “no”, meglio tacere.
Dare una mano vuol dire essere presenti, con le proprie forze personali, economiche, mentali, professionali, il proprio tempo e capacità per sostenere, accudire, nutrire, servire la vita e renderla bella, piacevole, amata e non amara.
Fatto questo, non è che si sarebbe fatto niente, niente più di quanto un uomo, degno di questo nome, semplicemente dovrebbe fare. Non perchè è bravo, ma perchè questa è la sua natura di uomo, è ciò che lo fa “stare bene”, lo fa realizzare.
L’alternativa è trovare una risposta a Dio, quando chiederà a me di rispondere, al minimo, di omissione, di tiepidezza, di meschinità, mi chiederà di render conto della vita dei miei fratelli e sorelle, specialmente i più indifesi. E si, me lo chiederà, conviene prepararsi per tempo. Conviene prepararsi oggi, o in un verso, o nell’altro.“