La forma più alta della manifestazione di Dio nella storia è segreta, da qui il paradosso dell’Eucaristia dove l’amore di Dio è tangibile, è pane che si mangia, è presenza reale, ma è nascondimento, è una presenza della «divinità latente». A questa presenza nascosta, specie prima della sua manifestazione, corrisponde un amore speciale che l’uomo può riversare e riservare per Dio «prima che giunga Dio».
Nel bellissimo libro L’amore di Dio. Prima che giunga Dio, la filosofa e mistica francese, Simone Weil, sottolinea quattro manifestazioni dell’amore implicito prima dell’approdo all’amore-credente. Weil è un’ebrea e una cristiana allo stesso tempo, come per un’esigenza intima di fedeltà alla prima e alla seconda Alleanza. Ma si potrebbe dire che è anche una credente e un’atea allo stesso tempo per fedeltà alla sensibilità di chi crede e di chi non crede (o crede di non credere). Questa convergenza di opposti rende il suo linguaggio compenetrato da una sensibilità rara e da un fascino incantevole.
Tornando al libro, esso riprende una parte dell’opera famosa Attente de Dieu. In questa sezione presentata al pubblico italiano si va al nocciolo della questione dell’amore di Dio come amore “laico” nel nobile senso del termine, l’amore pre-credente (almeno per quanto riguarda la coscienza). Simone è convinta che c’è una netta differenza tra quando si ama prima che Dio giunga, e quando si ama in presenza di Dio. Non è la stessa cosa – come nota Natale Benazzi nella prefazione – «amare “per amore di Dio” e amare “nell’amore di Dio”».
La Weil distingue appunto tra amore implicito e amore esplicito di Dio. Il primo di questi può avere tre oggetti immediati. Oggetti in cui Dio, quaggiù sulla terra, è sacramentalmente ovvero «veramente, benché segretamente, presente».
I quattro volti impliciti e anonimi dell’amore di Dio sono l’amore del prossimo, l’amore del mondo (della bellezza incarnata), della prassi religiosa e l’amore di amicizia. In questa presentazione del libro ci soffermiamo sui primi due di questi volti dell’amore implicito di Dio.
L’amore del prossimo
Premesso che ogni forma di amore vero ha «la virtù di un sacramento», la Weil sottolinea il volto vero dell’amore del prossimo che non deve essere un mezzo per un fine rivolto al benefattore, ma un atto di disappropriazione di sé, un’esperienza soprannaturale di distacco da sé e dall’attenzione a sé per fare spazio, sia per un istante, a un altro.
In un amore come questo, che ri-personalizza l’altro (perché la povertà più grande è diventare nessuno, essere spersonalizzato), avviene il miracolo della generazione e ri-generazione dell’altro nel nostro sguardo che non riversa pietà, ma offre riconoscimento. Scrive la Weil: «Chi, dopo essere stato ridotto dalla sventura a uno stato di cose inerte e passivo, ritorna almeno per un istante allo stato umano grazie alla generosità altrui; questi, se sa accogliere e annusare il vero profumo di tale generosità, riceve, in quello stesso istante, un’anima che appartiene esclusivamente alla carità. È generato dall’alto a partire dall’acqua e dallo spirito […]. Trattare il prossimo sventurato con amore è qualcosa che somiglia al battezzare»[1].
Pertanto,nell’atto di attenzione di amore gratuito viviamo un’esperienza soprannaturale. Offriamo innanzitutto una attenzione creatrice. Ma il gesto stesso è soprannaturale perché somiglia – pur lontanamente – alla kenosi divina: «L’uomo accetta una diminuzione, concentrandosi in una dispersione di energia che non aumenterà il suo potere, che farà semplicemente esistere un altro che non è lui stesso, indipendentemente da lui. Ancora di più: volere l’esistenza dell’altro significa trasportarsi in lui, per simpatia, e di conseguenza prendere parte allo stato di materia inerte in cui si trova»[2].
In questo gesto di restituzione della dignità dell’altro, Dio è presente perché «ovunque gli sventurati sono amati per se stessi, Dio è presente».
Amore della bellezza
L’amore dell’ordine del mondo, della bellezza del mondo, è il complemento dell’amore del prossimo. È la faccia di quest’amore quando è rivolta alla materia e alla bellezza. In questa sede, la Weil lamenta la relativa assenza dell’affermazione della bellezza del mondo nella tradizione cristiana e si chiede: «Come può il cristianesimo dirsi cattolico se l’universo ne è assente?»
L’attenzione alla bellezza è espressione di gratuità e di generosità del cuore. «La bellezza è la sola finalità di quaggiù. Come ha detto giustamente Kant, è una finalità che non contiene nessuno scopo. Una cosa bella non contiene alcun bene, se non essa stessa, nella sua totalità, tale quale ci appare».
L’importanza della posta in gioco della contemplazione della bellezza e del mondo è una sfida ad ogni religione, ma è un punto critico soprattutto nel cristianesimo perché«il cristianesimo non si incarnerà fino a che non avrà unito a sé il pensiero stoico, la pietà filiale per la città del mondo, per la patria di quaggiù che è l’universo».
Il libro è disponibile sul seguente link:
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NOTE
[1] S. Weil, L’amore di Dio, 23-24.
[2] S. Weil, L’amore di Dio, 24-25.