La catechesi nel contesto della Nuova Evangelizzazione (Seconda parte)

Relazione di monsignor Fisichella al Congresso Internazionale di Catechesi

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Riprendiamo oggi la seconda parte della relazione tenuta giovedì 26 settembre da monsignor Rino Fisichella al Congresso Internazionale di Catechesi.

La prima parte è stata pubblicata ieri, sabato 28 settembre.

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Uno dei compiti della nuova evangelizzazione consiste in primo luogo nel ravvivare la fede dei cristiani che sono i più vicini alla comunità. Spesso, infatti, la loro fede sembra diventata come la brace del fuoco che arde, ma non è più una fiamma viva capace di dare sostegno all’esistenza. Per diversi motivi, è diventata una fede debole, per molti spesso irrilevante per la vita, e ha bisogno comunque di un rinnovato impulso. Per questo motivo la catechesi è chiamata in causa direttamente per trovare metodi e contenuti che le permettano di essere una tappa adeguata in questo movimento di nuova evangelizzazione che la Chiesa ha intrapreso, per interpellare anzitutto i cristiani in questo tempo.

La catechesi, come si sa, segna un momento centrale nella vita della Chiesa. Solo guardando al suo sviluppo storico, sarebbe facile mostrare quanto nelle diverse epoche storiche essa abbia giocato un ruolo fondamentale nella trasmissione della fede. Con la catechesi, infatti, la Chiesa non solo offre ai cristiani i frutti dello sviluppo della fede che cresce nel corso dei secoli per un’intelligenza sempre più profonda del mistero. Insieme ad essa, infatti, si offre ai fedeli la possibilità di irrobustire l’identità cristiana che deve confrontarsi con le nuove acquisizioni della cultura e dello spirito del tempo per essere in grado di offrire un risposta carica di senso. Difficilmente si possono riscontrare altri ambiti nella vita della Chiesa dove è possibile verificare insieme lo sviluppo della dottrina, la prassi pastorale della comunità e la crescita dei singoli fedeli come lo permette la catechesi. Essa, per alcuni versi, diventa una sintesi intorno a cui si esprime la vita della Chiesa. La forza della catechesi, infatti, dipende dallo spessore teologico che sa mediare nella comprensione dei contenuti di fede, nella motivazione che sostiene la vita sacramentale trovando nella liturgia lo spazio più adeguato per far parlare il mistero stesso (mistagogia) e, infine, nell’offrire il suo valido contributo perché la testimonianza della carità non sia fraintesa, ma conservata nel suo alveo di amore gratuito che a tutti va incontro senza nulla chiedere in cambio. Ripensare la catechesi, pertanto, comporta rivisitare il suo legame primario con l’evangelizzazione per comprendere il ruolo da svolgere nel compito di rafforzare la fede dei credenti in questo peculiare momento della nostra storia.

            Esplicitare la dimensione missionaria della catechesi, comunque, non è retorica, ma responsabilità che compete a quanti hanno assunto in diversi modi questo ministero nella comunità. Ciò comporta l’attenzione, mai sufficientemente ribadita, della formazione per quanti sono chiamati a questo servizio. Una formazione che non separa i contenuti dalla vita, ma che li coniuga sull’esigenza propria di ogni battezzato di prendere consapevolezza dell’impegno per l’evangelizzazione. Ciò comporta la conoscenza dei contenuti di fede, in modo proporzionato e progressivo allo sviluppo personale, espresso con la testimonianza di vita. Dovremmo chiederci, in questo contesto, quanta attenzione l’attuale catechesi pone nel comunicare la consapevolezza della vita nuova che scaturisce dal battesimo e che in Cristo rende figli di Dio. È qui, infatti, che si inserisce l’esigenza di far comprendere la novità cristiana. Uno dei temi centrali della nuova evangelizzazione si pone proprio nel presentare la novità che l’incontro con Gesù Cristo comporta. Il contesto culturale che viviamo sembra impedire proprio questa dimensione. Il cristianesimo è considerato come ovvio, frutto di una contingenza storica più o meno felice, ma incapace di essere influenza sulla vita delle persone di questo tempo. Di fatto, la questione teologica che impegna nel dare ragione delle novità del cristianesimo, confluisce sulla possibilità di esprimere una antropologia in grado di mostrare la vita nuova in Cristo come compimento della ricerca di senso che l’uomo compie. La catechesi dovrebbe preparare e sostenere questo processo, mostrando le ragioni che stanno alla base della testimonianza cristiana. Lo stile di vita dei cristiani, permane come la vera risposta a questi interrogativi. Dovremmo però chiederci come sia possibile che un piccolo gruppo di persone, in una città multiculturale come Antiochia, fosse capace di farsi riconoscere tanto da permettere che per la prima volta quei discepoli fossero chiamati “cristiani” (cfr At 11,26) e oggi una realtà come 1.200.000.000 cattolici vivano nel mondo senza più suscitare almeno curiosità e interesse per il loro stile di vita.

            Tutto ciò diventa ancora più urgente, se si pensa ai destinatari della catechesi che presentano un ventaglio ampio di prospettive diverse. Abbiamo una catechesi di carattere prettamente sacramentale che tende all’educazione cristiana basilare che trova riscontro nei sacramenti dell’iniziazione –che spesso si riduce alla prima comunione e cresima- e che sembra assorbire l’intero impegno della nostra pastorale. Abbiamo modelli di catechesi che si ritrovano in diverse esperienze e si possono raccogliere sotto il nome di “catecumenato”. Non mancano catechesi così chiamate “permanenti” perché hanno lo scopo di condurre i cristiani a un approfondimento e al consolidamento della fede. Come si nota, la diversificazione se, da una parte, potrebbe evidenziare la frammentarietà, dall’altra, cerca di rispettare le esigenze stesse della fede che richiede un’intelligenza costante e una coerenza continua.

Probabilmente, per quanto riguarda la dimensione di nuova evangelizzazione, dovrebbe esserci da parte nostra un’attenzione del tutto particolare al momento della trasmissione della fede. L’esigenza di nuova evangelizzazione sembra nascere proprio dal fatto che si è interrotta la trasmissione della fede a partire dalla centralità della famiglia. Comprendere le cause di questo fenomeno che pone in seria crisi la fede è un compito da non procrastinare. Insieme ad esse, infatti, sarebbe possibile individuare quale risposta positiva la Chiesa intenda intraprendere per dare forma e spessore alla pastorale e alla catechesi in particolare. Sappiamo ormai che particolarmente in Europa e nel Nord America molti si avvicinano alla fede per la prima volta da adulti. L’esperienza di questi anni è ricca, feconda e con risultati positivi che meritano di essere analizzati per comprendere la complessità del fenomeno. È ugualmente vero che per molti di questi, il cristianesimo giunge come “primo annuncio” ricevuto a seconda delle diverse circostanze della vita. Saremmo tutti particolarmente impegnati perché questo annuncio diventasse espressione dell’agire dell’intera comunità cristiana che ha compreso l’esigenza di recuperare fortemente lo spirito missionario spesso abbandonato nei decenni passati non senza negative conseguenze. Certo, questo momento non è ancora catechesi, eppure si può far forte per strutturarsi come un percorso catechetico in modo tale che la presentazione del mistero di Cristo non sia frammentaria ma raccolta nella sistematicità propria della comunicazione di fede. La condizione di crisi di fede che soprattutto l’occidente vive e che vede una moltitudine di cristiani battezzati che senza rinnegare la fede sono sempre più estranei al Vangelo e alla comunità, obbliga a intraprendere nuove strade per non rendere vana la Pentecoste.

Se la comunità si fa carico di questo “primo annuncio” ciò significa che la stessa comunità dovrebbe essere capace di delineare anche il percorso successivo di un catecumeno per non
lasciare nessuno in balia di se stesso una volta recuperato il valore della fede. Ciò dovrebbe consentire di “approfondire, consolidare, nutrire, rendere sempre più matura la fede” (En 54). Questo sarebbe un momento di grazia del tutto peculiare per gli adulti, perché li condurrebbe progressivamente alla scelta della fede non come un fatto emotivo, ma come un impegno che possiede tutti i tratti per una scelta libera e vera che si compie consapevolmente per affidarsi al Signore. Non si dovrebbe avere timore nel presentare la radicalità della fede cristiana che è appunto una vita nuova offerta realmente con il Battesimo. Prima di ogni espressione della sequela nella via dei comandamenti e delle beatitudini, è importante anticipare la consapevolezza della vita di grazia che viene donata. Il dono della vita di Dio è amore che si rende visibile e diventa impegno per configurare la propria vita a Cristo.

(La terza e ultima parte segue domani, lunedì 30 settembre)

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ZENIT Staff

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