Crediamo veramente all'esistenza del Paradiso e dell'Inferno?

Colui che si è rifiutato di aprire le porte della sua casa non riceverà nessuna forma di accoglienza

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Il ricco cattivo e il povero Lazzaro è un passo del Vangelo di Luca che ha la missione di risvegliare le coscienze degli uomini di ogni generazione. Il cuore di questo testo non è tanto da ritrovarsi nel suo contenuto, che possiamo trovare “distribuito” in altri Vangeli, quanto la prospettiva attraverso la quale si guarda la vicenda terrena ed escatologica di due categorie di persone: i poveri e ricchi. 

Il ricco è un personaggio anonimo, che vestiva con abiti sfarzosi e passava molte ore della sua giornata a tavola. Non viene specificato se al banchetto ci fossero altri inviati. Il racconto fa supporre che la sua casa era frequentata probabilmente dai suoi fratelli, perché successivamente egli mostrerà di preoccuparsi per la loro sorte. Quindi tutta la vita di questo ricco ha un perimetro esclusivamente familiare. Il suo sguardo interiore e il suo raggio di azione non varcava la soglia della porta della sua casa.  

Il povero Lazzaro viveva accovacciato alla porta della casa dell’uomo ricco con la speranza di cibarsi dei resti della sua tavola. Ma questa sua aspettativa veniva puntualmente disillusa. Il povero Lazzaro con il passar del tempo avere perso le forze ed era rimasto immobilizzato, perché privo di nutrimento. Questa sua condizione di infermità totale gli aveva provocato delle piaghe, simbolo del dolore e dell’insensibilità degli uomini. 

Per l’uomo ricco la sorte di Lazzaro era accomunata a quella dei cani, manifestando un disprezzo per quelle vite umane che vivevano nella miseria e nell’indigenza.

Ma la dignità di Lazzaro è racchiusa nel suo nome che significa “Dio aiuta”. Lazzaro riponeva tutto il suo aiuto nel Signore, il Solo a dargli consolazione nel momento della prova e dell’abbandono. E quella sua consolazione assume un valore infinito, perché sarebbe durata per l’eternità alla presenza di Dio. 

<p>Tutta la vicenda sino a questo momento sembra propendere a vantaggio del ricco. Il povero privo di nutrimenti muore prima del ricco. E questa è una sventura per il ricco, perché gli viene sottratta la possibilità di essere misericordioso verso quel povero ed  ottenere, così, l’aiuto da Dio. Lazzaro non era un uomo da disprezzare, ma una occasione che Dio offriva al ricco per amare ed ottenere la salvezza. Attraverso l’aiuto a Lazzaro il ricco sarebbe stato aiutato da Dio. 

Alla morte del ricco assistiamo ad un ribaltamento della situazione. Lazzaro che era rimasto paralizzato con tutte le sue piaghe, “fu portato dagli angeli nel seno di Abramo” (Lc 16,22). Colui al quale nessuno aveva aperto le porte della casa per accoglierlo, ora trova le porte aperte nella casa di Dio. 

“Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti,” (Lc 16,22-23) .

Colui che si era rifiutato di aprire le porte della sua casa non riceve nessuna forma di accoglienza. Riceve la sepoltura e “sprofonda” nell’inferno, luogo di dolore e di tormento. 

Dalle parole che il ricco rivolge ad Abramo, diventa comprensibile la causa della sua dannazione eterna: “Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura.” (Lc 16, 24).

Il ricco anche dopo la morte tratta Lazzaro come un suo servo per soddisfare i propri interessi. Durante la vita terrena aveva disprezzato la sua condizione, ora chiede il suo aiuto con la spregiudicatezza di ricevere in virtù del suo essere ricco.

Il ricco si era dimenticato che venina servito solo in virtù dei beni che possedeva. Ora le sue ricchezze sono rimaste sulla terra, e quello che comanda è Dio, non è più lui. Questa è la triste realtà che ora il ricco scopre al suo risveglio dopo la sua morte. 

Colui che aveva chiuso la porta del suo cuore al povero Lazzaro, ora si accontenta di qualche gocce di acqua per rifrescare quella stessa lingua che gli aveva negato l’aiuto. E come a Lazzaro gli vennero negate dal ricco epulone le briciole dalla mensa, ora a quel ricco gli vengono rifiutate poche gocce d’acqua.  

Abramo che impersonifica la voce di Dio, risponde con parole che sono un richiamo non solo per quel ricco ma per ognuno di noi: “Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti.” (Lc 16, 24). 

Queste parole vanno bene interpretate, perché possono creare degli equivoci. Esse vogliono dire che i beni ricevuti da Dio devono essere utilizzati per curare il male dell’altro, non possono essere destinati solo per propria consolazione, altrimenti rischiano di diventare un tormento piuttosto che un beneficio. In altre parole, vuole dire che l’uso pensato da Dio per i beni è la solidarietà, attraverso la quale possiamo alleviare il male e i tormenti, per ricevere già da subito la consolazione da Dio.

Anche perché le scelte operate durante la vita sono definitive e irrevocabili. Non è possibile tornare indietro, non è possibile attraversare quell’abisso, che altro non è che la disposizione e la rettitudine d’animo che separa i salvati dai dannati (Lc 19,26). 

L’ultima parte di questo racconto sembra essere un richiamo alla vita presente più che a quella futura. Il ricco manifesta dei sentimenti di compassione verso i suoi fratelli. Egli dimostra di avere interesse per la loro sorte finale, desidera in qualche modo che essi vengano informati di cosa gli aspetterà dopo la morte. Nutre un grande desiderio che qualcuno gli avvisi di convertirsi nell’uso delle ricchezze. 

Moltissimi di noi pensano tutt’ora che è difficile credere alla resurrezione della carne, come professiamo nel Credo, ma se vedessimo qualche persona di nostra fiducia tornare dai morti per avvisarci su cosa ci attende dopo la morte, allora in quel caso saremmo facilitati nel credere. 

Le parole di Abramo sono di grande utilità per noi. Anche se vedessimo qualcuno ritornare dai morti, egli ci direbbe niente altro di quello che è contenuto nelle Sacre Scritture, e annunciato a noi attraverso la testimonianza degli Apostoli.

E se vogliamo una conferma della resurrezione dai morti e dell’esistenza della vita eterna, pensiamo alla schiera di santi, iniziando dagli apostoli per arrivare sino ai martiri dei nostri giorni, che hanno dato la vita per amore a Cristo e al suo Vangelo. Essi hanno testimoniato con il sangue la loro fede nella vita eterna, avendo la certezza di vivere per l’eternità con Dio.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Osvaldo Rinaldi

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione