Si è svolto a Roma dal 10 al 19 settembre un convegno formativo per i nuovi vescovi promosso dalla Congregazione per i Vescovi e dalla Congregazione per le Chiese Orientali. L’incontro di quest’anno si è distinto per una presenza significativa di neo-vescovi maroniti.
In quest’intervista, Mons. Habib Chamieh, vescovo dell’eparchia di San Charbel dei Maroniti a Buenos Aires racconta e commenta gli svolgimenti principali del convegno. E ci parla inoltre della situazione dei maroniti nella diaspora dell’America Latina.
Mons. Habib Chamieh, dell’Ordine Maronita della Beata Vergine Maria, è nato a Beirut (Libano) il 7 ottobre 1966 ed è entrato nell’Ordine Maronita della Beata Maria Vergine a 15 anni. È stato ordinato sacerdote il 14 agosto 1992. Ha ricoperto diversi incarichi nel suo Ordine, tra cui: formatore dei postulanti; segretario generale dell’Ordine (1999-2005); maestro dei professi scolastici a Roma (2006-2007); superiore della missione maronita in Uruguay (2008-2011); maestro dei novizi (dal 2011). Ha svolto attività pastorale nelle parrocchie di Zouk Mosbeh ed Achkout in Libano e di Notre-Dame du Liban di Montevideo per tre anni (2008-2011).
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Da diversi anni la Congregazione dei Vescovi promuove un convegno annuale per la formazione dei nuovi vescovi. Che importanza ha un tale incontro per l’avvio del servizio episcopale?
Mons. Chamieh: Dopo la mia ordinazione episcopale, mi sono rivolto a chi è di dovere chiedendo: non esiste una formazione specializzata che permette ai nuovi vescovi di sapere con chiarezza i loro doveri pastorali e soprattutto canonici? Sono stato felice di sapere che esiste un tale servizio, promosso non da meno che dalla Congregazione dei Vescovi, in collaborazione con la Congregazione per le Chiese Orientali. È una realtà relativamente nuova, ma che si svolge già da 12 anni presso l’Ateneo Regina Apostolorum dei Legionari di Cristo. È utile, anzi essenziale per un avvio più cosciente del ministero episcopale.
Quali sono i punti fondamentali che avete discusso e affrontato durante il Convegno?
Mons. Chamieh: Gli incontri si sono focalizzati su varie tematiche riguardanti la dimensione pastorale del ministero episcopale. Abbiamo parlato di questioni germinali che riguardano l’identità stessa del vescovo. I conferenzieri ci hanno aiutato a riflettere su varie questioni che riguardano il rapporto del vescovo con il suo clero, soprattutto con i sacerdoti che affrontano problemi e crisi vocazionali. Si è parlato anche del rapporto e dell’aiuto reciproco tra il vescovo e gli ordini religiosi presenti sul territorio.
Si è parlato inoltre degli importanti e delicati aspetti canonici del ministero episcopale.
Che atmosfera ha distinto l’incontro di quest’anno?
Mons. Chamieh: L’incontro di quest’anno si è distinto per la grande partecipazione dei vescovi maroniti. Su circa 110 vescovi, i maroniti erano ben 14. Questa presenza orientale ha dato all’incontro uno stampo più ricco e collegiale. Si è parlato di conseguenza in modo dettagliato della collaborazione tra i vescovi cattolici di vari riti. Abbiamo considerato la collegialità come una realtà pastorale.
Inoltre, dato il numero dei maroniti presenti, abbiamo celebrato una messa in rito maronita con la partecipazione degli altri vescovi, ed è stata una bella esperienza, in quanto tanti vescovi non sapevano niente dei maroniti e della ricchezza del loro rito.
Vi è, infatti, una grande ignoranza riguardo agli orientali cattolici. Alcuni li accomunano con gli ortodossi, altri – addirittura – gli accomunano con i musulmani, dato che parlano la lingua araba!
Quali sono state le questioni interrituali che avete trattato?
Mons. Chamieh: Dato che la molteplicità dei riti non è più una questione legata a territori specifici, a causa delle migrazioni di massa dei cristiani orientali verso altri territori, si è parlato della necessità che i vescovi latini aiutino questi cristiani orientali a preservare la loro eredità culturale e spirituale. Per cui, dove ci sono cristiani di riti orientali, è importante che ci sia un ministro che provvede alle loro necessità. Queste direttive sono importanti perché nella situazione attuale, tanti orientali nella diaspora si identificano totalmente con le chiese ospitanti, perdendo purtroppo la loro eredità rituale orientale.
Durante gli incontri di condivisione, abbiamo suggerito ai vescovi latini di svolgere un ruolo attivo nell’orientale i fedeli orientali verso una partecipazione più viva nei loro riti originali, almeno per quanto riguarda le prassi sacramentali del battesimo, del matrimonio, ecc.
(Domani, giovedì 26 settembre, segue la seconda e ultima parte)