È iniziata stamattina intorno alle 8.15 la visita pastorale di papa Francesco in terra sarda. Il Santo Padre è atterrato all’aeroporto di Cagliari-Elmas, accolto dalle autorità politiche ed ecclesiastiche.
Francesco, un bambino di 7 anni, ha recato in omaggio al Pontefice suo omonimo un mazzo di rose bianche e gialle, simbolo della città del Vaticano.
Un altro dono è stato offerto al Santo Padre da un altro bimbo di nome Antonio: si tratta di un piatto realizzato da un ceramista di Assemini con il disegno del Savoia Marchetti che nel 1925 era decollato da Elmas per volare verso Buenos Aires.
Va ricordato, a tal proposito, che la visita pastorale di papa Bergoglio a Cagliari, è in parte legata alla sua terra d’origine: la città di Buenos Aires prende infatti il nome da Santa Maria di Bonaria, patrona del capoluogo sardo (per approfondimenti cliccare qui).
Dopo aver salutato gli almeno 500 fedeli giunti ad accoglierlo in aeroporto, papa Francesco, a bordo di un’utilitaria, si è recato a largo Carlo Felice, per l’incontro con i rappresentati del mondo del lavoro.
Il Santo Padre ha ascoltato le parole di accoglienza di alcuni lavoratori presenti, quasi tutte incentrate sul dramma della crisi economica ed occupazionale che, in Sardegna, è sentito ancora più che sul continente.
Parlando per lo più a braccio, il Pontefice ha espresso la propria “vicinanza, specialmente nelle situazioni di sofferenza” a tutti i lavoratori – precari e non – e disoccupati che “hanno difficoltà ad andare avanti”.
Francesco ha anche ricordato una delle tante crisi economiche sofferte dal suo paese nell’ultimo secolo, quella degli anni ’30, quando il padre del futuro pontefice fu vittima di una disoccupazione apparentemente irrisolvibile. “Coraggio! – ha quindi esortato -. Dobbiamo affrontare con solidarietà e intelligenza questa storica sfida”.
L’incoraggiamento, ha però riconosciuto il Papa, non può essere una “bella parola di passaggio”. Il coraggio deve essere qualcosa che “viene da dentro”, ha spiegato
Entrambe le sue prime due viste pastorali in Italia, come Francesco stesso ha osservato, sono state in due isole. Tanto a Lampedusa quanto in Sardegna, il Papa ha raccontato di aver visto varie forma di sofferenza. Con riferimento alla Sardegna in particolare, il problema della mancanza di lavoro “porta a sentirsi senza dignità, perché dove non c’è lavoro, non c’è dignità”, ha detto.
Il sistema economico mondiale ha come centro “un idolo che si chiama denaro”, quando, al contrario, Dio vorrebbe che tale fulcro siano “l’uomo e la donna” che devono andare avanti con il loro lavoro, ha osservato il Papa.
Invece, a causa di quell’idolo che è il denaro e della “cultura dello scarto”, “cadono gli estremi” più deboli della società, a partire dagli anziani, vittime di una “eutanasia nascosta” in un mondo in cui “non c’è posto per loro”, e i giovani per la mancanza di lavoro che toglie loro dignità.
Il grido “lavoro! lavoro! lavoro!”, pronunciato da alcuni gruppi di fedeli presenti, è stato descritto dal Santo Padre come una “preghiera necessaria”, in quanto avere lavoro significa “portare a casa il pane”, quindi, in definitiva, “lavoro vuole dire amare”.
Papa Francesco ha quindi ripetuto una delle sue esortazioni più ricorrenti: “Non lasciatevi rubare la speranza!”. La speranza, ha ribadito, è non è semplice “ottimismo”, né appartiene a qualcuno in particolare ma “è cosa di tutti” e possiamo darle forza, come quando si soffia sulle ceneri “perché il fuoco venga un’altra volta”.
A conclusione del suo discorso, il Pontefice ha pronunciato la seguente preghiera: “Signore, ci manca il lavoro. Gli idoli vogliono rubarci la dignità. I sistemi ingiusti vogliono rubarci la speranza. Signore, non ci lasciare soli. Aiutaci ad aiutarci fra noi, che dimentichiamo un po’ l’egoismo e sentiamo nel cuore il “noi”, noi, popolo, che vuole andare avanti. Signore Gesù, a Te non mancò il lavoro, dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro e benedici tutti noi”.