La Concordia e la metafora del naufragio

Il recupero della speranza

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Riportiamo di seguito l’articolo di fondo firmato da monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, pubblicato oggi, domenica 22 settembre 2013, sul quotidiano Il Sole 24 Ore, pp. 1 e 18. 

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            Una metafora italiana, simbolo dei limiti e delle potenzialità del nostro Paese: è così che vorrei leggere la vicenda della Costa Concordia, dal tragico naufragio del 13 gennaio 2012 alla gigantesca operazione di rotazione della nave, da poco compiuta. L’immagine del naufragio, in verità, ha da sempre intrigato il pensiero alla ricerca di simboli: così, Lucrezio nel De rerum natura (II, 1-4) aveva rappresentato la condizione dell’uomo “classico” descrivendo la scena di un naufragio, osservato da terra da uno spettatore, che, pur intimorito da quello che vede in lontananza, prova conforto nel sapersi saldamente ancorato alla terra. È la metafora di un’umanità inquieta di fronte alla mutevole e spesso terribile scena del mondo, e tittavia sicura nel riferirsi ad alcuni valori assodati. Hans Blumenberg riprende l’immagine di Lucrezio per evidenziarne la differenza con la condizione attuale, dove lo spettatore è naufrago egli stesso sulla grande e incerta superficie liquida della società postmoderna, orfana di ogni certezza ideologica (Naufragio con spettatore, Bologna 1985). Nel caso della Costa Concordia la metafora si arricchisce di un ulteriore elemento: oltre il naufragio, c’è il recupero, unico nella storia per dimensioni e sfide affrontate. Proprio così il simbolo si amplifica a evocare altri scenari e, fra naufragio e nuova emersione, si presta a significare il Paese Italia nella complessità ambigua e fascinosa dei suoi costumi e delle sue vicende.

            Anzitutto, il naufragio: quanto avvenne in quella notte di quasi venti mesi fa, sembra avere i tratti di vicende più volte vissute dal nostro Paese. A quanto pare all’inizio della tragedia ci fu il fascino di un’esperienza “estetica”: fare l’inchino all’isola, come si dice, e cioè avvicinarsi alle sue coste per offrire da presso lo spettacolo della sua bellezza, stagliata sul cielo notturno e sul mare. La cultura italiana è senza dubbio ammaliata dal bello: l’immenso patrimonio artistico, unito all’incomparabile qualità dei suoi beni paesistici e ambientali, educano gli abitanti della Penisola a una naturale disposizione verso il senso estetico. Anche sul piano della comunicazione, come su quello dell’antagonismo politico, la dimensione estetica gioca un ruolo non secondario, fino a rischiare la seduzione dell’estetismo, consapevolmente presente in alcuni dei grandi protagonisti della nostra letteratura (D’Annunzio insegna). Si sa come il totalitarismo fascista abbia giocato su quest’elemento scenico-artistico, e la stessa Italia repubblicana – specie negli ultimi decenni – ha non di rado ceduto alla tentazione di personalismi in politica, che riducevano il confronto dal piano delle idee e dei progetti a quello della forza di persuasione mediatica ed estetizzante dei leaders. Un altro elemento del naufragio della Costa Concordia, che evoca scenari negativi delle vicende italiane, è l’individualismo che pare abbia caratterizzato la conduzione della nave negli ultimi, tragici momenti: anche se sarà compito dei magistrati accertare le responsabilità personali, non sembra che la gestione della rotta, dell’errore e delle sue conseguenze, sia stata condotta attraverso un organico gioco di squadra. È quanto tante volte si è verificato nella storia italiana: i protagonismi individuali hanno preso il posto delle gestioni coordinate e collettive; il capo ha avuto un ruolo eccessivo rispetto all’insieme. La metafora rappresentata dagli eventi della tragica notte del 13 gennaio 2012 nelle acque dell’Isola del Giglio richiama tutti a riscoprire l’urgenza di lavorare uniti al servizio del bene comune, superando individualismi e protagonismi, che sono solo di ostacolo alle sinergie necessarie. Ciò di cui abbiamo bisogno non sono capi più o meno carismatici, ma persone serie, oneste e competenti, capaci di lavorare insieme per il bene di tutti!

            Il raddrizzamento della nave rappresenta l’altra faccia della metafora, evocando l’immagine dell’Italia operosa, efficiente, creativa, di cui andare orgogliosi. Lo ha dichiarato il Presidente Letta con parole puntuali: “Abbiamo dimostrato a tutto il mondo che cosa è in grado di fare la tecnologia italiana “. Il Capo del Governo ha poi sottolineato come con l’operazione Concordia “abbiamo voltato pagina nell’immagine pubblica del nostro Paese che, in occasione nell’incidente della nave, è stata di fuga dalla responsabilità”. In particolare, due aspetti dell’avvenuta rotazione della nave vanno sottolineati: il primo è il lavoro di studio serio e rigoroso, di calcolo meticoloso e preciso, di impiego calibrato delle risorse umane, che ha preceduto le complesse operazioni compiute sul relitto in parte sommerso e incagliato, per farlo emergere e raddrizzarlo. Questo lavoro rivela l’assunzione di grandi responsabilità, portate avanti in ogni momento e fino all’ultimo istante dell’operazione, senza risparmio di sacrifici. È l’Italia delle grandi capacità intellettuali, generatrici di lavoro altamente qualificato, che hanno fatto del “made in Italy” un “brand” fra i più conosciuti al mondo. In secondo luogo, quanto si è fatto per la rotazione della Costa Concordia ha mostrato un grande gioco di squadra, dove ciascuno ha svolto con precisione la sua parte e tutto è stato coordinato in maniera rigorosa ed efficace. In questo agire collaborativo sono intervenute figure professionali di spessore, provenienti oltre che dall’Italia, anche da vari Paesi del mondo, quasi a confermare che nel “villaggio globale” nessun uomo è un’isola e che la cooperazione seria e attiva di tutti, ciascuno secondo la sua competenza, quale che sia la sua provenienza, è in grado di compiere imprese titaniche. Se nell’aprile 1912 il naufragio del Titanic segnò il drammatico inizio di un secolo, segnato dalla crisi dei grandi racconti ideologici e delle loro realizzazioni storiche, cent’anni dopo la vicenda della Costa Concordia è metafora significativa di un secolo che si è aperto nella consapevolezza tragica dei potenziali di violenza ancora presenti nel “villaggio Globale” (dall’attacco alle Twin Towers alle guerre ad esso seguite), ma che non di meno mostra segnali di speranza, legati specialmente alle possibilità positive acquisite dalla tecnica e dalla ricerca umana, oltre che dalla cooperazione dei saperi e delle identità culturali ed etniche. L’ottimismo responsabile è il volto concreto della speranza di cui abbiamo bisogno, tutt’altro che chiuso nelle esclusive potenzialità dell’umano, aperto e affidato anzi alle nascoste potenzialità del Mistero, che tutto avvolge, e che i credenti riconoscono rivelato come dono e promessa di misericordia, a cui sempre nuovamente guardare, per amore di tutto l’uomo, di ogni uomo.

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Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto

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