Per porre fine alla proliferazione nucleare

L’intervento di monsignor Dominique Mamberti alla 57° Conferenza generale dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica

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Pubblichiamo una sintesi della traduzione italiana a cura dell’Osservatore Romano dell’intervento pronunciato in lingua inglese, il 16 settembre a Vienna, dall’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, durante la cinquantasettesima Conferenza generale dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea).

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Signor Presidente, Signore e Signori,

Lo scorso luglio, durante il suo viaggio in Brasile in occasione della XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù, Papa Francesco ha lanciato un appello «a chi possiede più risorse, alle autorità pubbliche e a tutti gli uomini di buona volontà impegnati per la giustizia sociale: non stancatevi di lavorare per un mondo più giusto e più solidale! (…) Non è, non è la cultura dell’egoismo, dell’individualismo, che spesso regola la nostra società, quella che costruisce e porta ad un mondo più abitabile; non è questa, ma la cultura della solidarietà; la cultura della solidarietà è vedere nell’altro non un concorrente o un numero, ma un fratello. E tutti noi siamo fratelli!» (Visita alla comunità di Varginha, Manguinhos, 25 luglio 2013).

Nello spirito delle parole di Papa Francesco e della cultura della solidarietà, desidero elogiare l’Agenzia per le sue attività di cooperazione tecnica, che sono un grande esempio di solidarietà pratica e concreta verso chi ha bisogno, tenendo conto del fatto che il benessere della persona umana è e dovrebbe essere al centro di tutta la ricerca scientifica e dello sviluppo, e mai un mezzo per raggiungere un fine.

L’assistenza fornita in ambito medico, specialmente nel trattamento del cancro e di altre malattie non comunicabili, nella radiologia diagnostica e nella medicina nucleare, aiuta molte persone, in particolare in quelle regioni — purtroppo ancora tante — in cui le forme moderne di diagnosi e di cure mediche non sono ancora disponibili su larga scala, e dove le popolazioni rurali spesso continuano a non potervi accedere. Andare incontro a chi ha bisogno attraverso una varietà di modi concreti di assistenza è tra gli aspetti più importanti del lavoro dell’Agenzia e rivela uno dei lati migliori della natura umana.

Gli sforzi dell’Agenzia nell’ambito dell’agricoltura, della lotta contro le malattie e le infestazioni, della sicurezza e della tutela alimentare, del miglioramento della fertilità del suolo e della lotta contro l’erosione del suolo e il degrado del terreno, delle applicazioni degli isotopi per esplorare le risorse idriche e affrontare i problemi di inquinamento in alcune grandi città, in molti casi hanno dato risultati positivi e certamente devono essere proseguiti. Le iniziative più recenti, relative all’impatto dell’acidificazione degli oceani sull’industria ittica e l’acquacoltura, tema del Forum scientifico di quest’anno, certamente meritano altrettanta attenzione.

Le attività di cooperazione tecnica, però, non sono una via a senso unico: le esperienze degli anni passati mostrano che, affinché esse siano feconde a lungo termine, quanti vi partecipano devono adattare i progetti alle proprie regioni, svilupparli ulteriormente e trasmettere le proprie conoscenze ai paesi vicini, dove si presentano problemi simili. In tal modo, questo genere di cooperazione tecnica, al di là dei confini, è in grado di affrontare questioni fondamentali che hanno un profondo impatto sulla situazione sociale, economica e umanitaria di molte società, testimoniando uno spirito autentico di solidarietà e la ricerca del bene comune.

Signor Presidente,

Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario dell’enciclica Pacem in terris del beato Papa Giovanni XXIII. Così come erano valide in mezzo alla corsa agli armamenti nucleari della seconda metà dello scorso secolo, le parole di questo solenne e storico documento contengono un importante messaggio anche per il nostro mondo attuale. Permettetemi di condividere con voi alcune riflessioni di Papa Giovanni: «Gli armamenti, come è noto, si sogliono giustificare adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze» (Pacem in terris, n. 59).

Sebbene siano state scritte cinquant’anni fa, queste parole sembrano rispecchiare l’inizio del XXI secolo, dove ci sono ancora Stati che possiedono armi nucleari e che non tutti hanno firmato il Trattato di non proliferazione, mentre l’eventualità di un terrorismo nucleare è molto concreta. Dovremmo domandarci se davvero oggi viviamo in un mondo più sicuro e più protetto rispetto ad alcuni decenni fa.

Signor Presidente,

La Santa Sede condivide il pensiero e i sentimenti della maggior parte degli uomini e delle donne di buona volontà che aspirano all’eliminazione totale delle armi nucleari. Pertanto, vorremmo cogliere questa occasione per rinnovare il nostro invito ai leader delle nazioni a porre fine alla produzione di armi nucleari e a dirottare il materiale nucleare dagli scopi militari alle attività pacifiche. Abbiamo bisogno di un’adesione universale e incondizionata e dell’attuazione del Trattato di non proliferazione, come anche del Trattato di bando complessivo dei test nucleari, che è uno strumento importante per raggiungere questo obiettivo, al di là della sua potenziale applicazione civile e scientifica attraverso il suo sistema di monitoraggio internazionale.

[…]

Signor Presidente,

La mia Delegazione desidera sottolineare la profonda preoccupazione della Santa Sede per i recenti tragici sviluppi in Medio Oriente, e ribadisce il suo forte sostegno agli sforzi per istituire una zona mediorientale libera da armi nucleari e da tutte le altre armi di distruzione di massa. Le zone libere da armi nucleari sono l’esempio migliore di fiducia e di sicurezza, e l’affermazione che la pace e la sicurezza sono possibili senza il possesso di armi nucleari. Inoltre, la conclusione, da parte di tutti gli Stati di quella regione, dell’Accordo comprensivo di salvaguardia e dei Protocolli, costituirebbe un grande contributo alla sicurezza dell’intera regione.

Per quanto riguarda gli sviluppi più recenti nei negoziati sul programma nucleare dell’Iran, la mia Delegazione desidera ribadire che la Santa Sede è fermamente convinta che le difficoltà attuali possono e devono essere superate attraverso i canali diplomatici, facendo uso di tutti i mezzi a disposizione della diplomazia, e reputa necessario superare i diversi ostacoli che oggettivamente impediscono la fiducia reciproca.

Signor Presidente,

Nel difficile crocevia nel quale si trova l’umanità — un crocevia caratterizzato da un’interdipendenza sempre più rigorosa a livello economico, politico, sociale e ambientale — occorre domandarsi: l’uso della forza costituisce una soluzione sostenibile nel tempo? Di fatto, sembra solo accrescere la sfiducia reciproca e rimandare a un senso distorto delle priorità, che impegna risorse importanti in modo poco lungimirante. La tentazione di affrontare situazioni nuove con sistemi vecchi deve essere respinta. Dobbiamo ridefinire le priorità e le gerarchie dei valori in base alle quali mobilitare le risorse per obiettivi di sviluppo morale, culturale ed economico, poiché lo sviluppo, la solidarietà e la giustizia non sono altro che il nome vero della pace, di una pace duratura nel tempo e nello spazio.

Grazie, Signor Presidente.

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Fonte: L’Osservatore Romano, martedì 18 settembre 2013

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ZENIT Staff

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