Crescita del profitto e crescita dell'occupazione non sempre vanno insieme

Gli ultimi dati provenienti dagli USA mostrano che le misure per favorire lo sviluppo non sono state sufficienti per limitare l’ingiustizia sociale e la diseguaglianza

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La giustizia sociale è da sempre una delle linee portanti dell’antropologia biblica e di conseguenza della Dottrina Sociale della Chiesa.

Questa riflessione è stata cristallizzata, tra l’altro, nei paragrafi nn. 410-414 del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica: “La società assicura la giustizia sociale quando rispetta la dignità e i diritti della persona, fine proprio della società stessa. Inoltre la società persegue la giustizia sociale, che è connessa con il bene comune e l’esercizio dell’autorità, quando realizza le condizioni che consentono alle associazioni e agli individui di conseguire ciò a cui hanno diritto” (411).

Essa riconosce che le disuguaglianze rientrano  nel peccato dell’uomo  sono inique e “rientrano nel piano di Dio” ma ci “sono situazioni sociali o istituzioni contrarie alla legge divina, espressione ed effetto di peccati personali” (400).

Altrettanto illuminante è  quanto ha scritto l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, cardinale Joseph Ratzinger, il 22 marzo 1986, nell’Istruzione sulla libertà cristiana e la liberazione, al paragrafo Peccato e strutture d’ingiustizia.

Ha scritto Ratzinger “Divenuto centro di sé stesso, l’uomo peccatore tende ad affermarsi e a soddisfare il suo desiderio di infinito, servendosi delle cose: ricchezze, poteri e piaceri, senza preoccuparsi degli altri uomini che ingiustamente spoglia e tratta come oggetti o strumenti. Così, da parte sua, egli contribuisce a creare quelle strutture di sfruttamento e di schiavitù, che peraltro pretende di denunciare”.

Queste parole profetiche del Papa emerito, vengono sempre più confermate dalla crudezza dei numeri e dall’inversione di tendenza culturale che si era instaurata a partire dal tragico evento della seconda guerra mondiale.

In altre parole la società postmoderna non riesce a dotarsi di un sistema  economico – finanziario che riesca a coniugare armonicamente e senza fratture i profitti con gli obbiettivi di giustizia sociale. 

Gli ultimi dati provenienti da New York, capitale mondiale del capitalismo tecnofinanziario, mostrano che le misure per favorire la crescita non sono state sufficienti per limitare l’ingiustizia sociale e la diseguaglianza.

Da cinque anni la Fed (Federal Reserve è la banca centrale degli Stati Uniti d’America) ha immesso nei mercato circa 3mila miliardi di dollari (85 miliardi di dollari al mese) per rimettere in moto l’economia reale, ma tutti questi sforzi hanno premiato solo in parte la borghesia media e le classi meno abbienti, hanno invece ulteriormente incrementato la ricchezza per un numero limitato di  persone, per lo più appartenenti ai gruppi che governano la finanza di Wall Street.

L’indice di borsa americano S&P (Standard and Poor’s) è cresciuto dal 2008 del 98,2%, i mercati obbligazionari hanno visto guadagni di oltre il 300%, gli utili delle imprese sono cresciuti del 50,3%, i posti di lavoro creati sono stati 70mila, la disoccupazione è diminuita dal 10% dell’ottobre 2009, al 7,3% attuale.

I dati complessivi sembrano buoni, ma secondo alcuni analisti, nonostante i super stimoli della Fed la ripresa dell’economia ha riguardato solo una percentuale minore della popolazione.

Secondo un recente studio dell’Università di Berkeley, l’1% più ricco della popolazione americana ha visto aumentare il reddito reale del 31,40%, mentre il restante 99% della popolazione si è dovuto accontentare di un modesto 0,4%.

Se è vero che il tasso di disoccupazione è sceso di 2,7% dai massimi del 2009, ma 70mila nuovi occupati sono pochi rispetto alla crescita finanziaria.

Sembra emergere una tendenza che gli economisti chiamano jobless recovery, ovvero di crescita senza creazione di posti di lavoro.

Diversi studi e rapporti evidenziano che quando un’economia esce da una lunga recessione, la nuova crescita non crea posti di lavoro. Anzi, il tasso di disoccupazione tende a crescere ulteriormente, nonostante il prodotto interno lordo abbia ricominciato a crescere.

Una delle cause di questo comportamento sta nella diffidenza delle imprese circa la durata della ripresa: preferiscono utilizzare la forza lavoro già presente (aggiungendo ore di straordinario) invece che effettuare nuove assunzioni.

Bisogna anche considerare che l’innovazione tecnologica tende a rafforzare la jobless recovery perché grazie all’evoluzione tecnologica le imprese riescono a produrre molti beni e servizi impiegando sempre meno forza lavoro.

In questo contesto va ripensato il mondo del lavoro alla luce dello sviluppo tecnologico, e va superata la cultura della secolarizzazione tecno-nichilista.

Interessante a questo proposito quanto emerso dalla 47a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, il cui tema di riferimento “La famiglia, speranza e futuro per la società italiana” indica la volontà di ripartire dai fondamenti antropologici della famiglia naturale per superare il crollo demografico e rilanciare l’economia reale.

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Carmine Tabarro

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