"Portiamo l'opera di Ratzinger alle Chiese di periferia" (Seconda parte)

Intervista con mons. Adoukonou in occasione del Simposio internazionale per teologi africani sulla trilogia “Gesù di Nazaret”, che si terrà la settimana prossima a Cotonou, in Benin

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Riprendiamo oggi la seconda e ultima parte dell’intervista con monsignor Barthélemy Adoukonou, segretario del Pontificio Consiglio della Cultura, realizzata in occasione del Simposio internazionale per teologi africani sulla trilogia “Gesù di Nazaret”, che si terrà dal 16 al 21 settembre a Cotonou, in Benin.

La prima parte è stata pubblicata ieri, sabato 14 settembre.

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Benedetto XVI è stato informato di questa importante iniziativa sulla sua trilogia?

Mons. Barthélemy Adoukonou: Sì, sono andato da lui, lo sa, è molto felice. Ne era stato informato dal presidente dello Schülerkreis, padre Stephan Horn, e ha voluto incontrarmi. Gli ho presentato il progetto. In Benin e in tutta l’Africa è molto conosciuto, avendo offerto all’episcopato del continente l’Africae munus, e poi il suo famoso discorso nel palazzo presidenziale del Benin, che ha fatto tanto riflettere sulla politica. Il Benin è anche la patria del suo amico cardinale Gantin. Lui è molto amato. Ha parlato della Chiesa in Africa come di un polmone dell’umanità. Ci sentiamo onorati di questa sua profezia sull’Africa come la speranza per la Chiesa. Saremo molto felici di accogliere il suo messaggio, di grandissima chiarezza e bellezza, soprattutto per formare i formatori. Oggi manchiamo di formatori che abitano in Dio. Ratzinger abita in Dio: non parla teoricamente, vive quello che dice. Ratzinger è unico. E non si può leggere questa trilogia senza vedere il legame con le encicliche del papato.

La prima è sul contenuto della fede, Dio è amore, Deus caritas est, in cui ha presentato l’amore in modo così affascinante, in così poche pagine, poi la seconda, Spe Salvi, sulla speranza, a cui si collega una terza,Caritas in veritate, ove fa della gratuità il centro dell’economia: quando siamo in crisi a causa della speculazione finanziaria, lui ha l’audacia di proporre la gratuità come concetto centrale. E infine ha preparato, ma non ha pubblicato, la Lumen fidei, ripresa da Papa Francesco. Quindi ha passato il suo tempo a insegnare: è stato professore, pastore, prefetto della Dottrina, sempre insegnando, e come Papa ha scritto queste encicliche… Questa trilogia ha presentato Gesù come il nuovo Mosè, sempre in contemplazione del Padre, che entra nel suo sguardo per guardare il mondo: lo sguardo di Gesù è lo sguardo del Padre e la fede diventa partecipazione di quello sguardo di Dio per vedere il mondo in questo modo.

Quale eredità teologica e di pensiero lascia Joseph Ratzinger-Benedetto XVI alla Chiesa e al mondo?

Mons. Barthélemy Adoukonou: Cinque minuti dopo l’annuncio della rinuncia al pontificato, sono entrato in una gioia incredibile, perché ho pensato che mentre tutti cercano il potere, lui lo ha lasciato per nascondersi in Dio nella preghiera, per far crescere la Chiesa. Così è diventato una autorità. Una settimana dopo, una mia amica filosofa mi ha scritto che questo è ciò che si chiama la “santità dell’intelligenza”. Quest’atto mi è sembrata la sua ultima lezione magistrale e anche magisteriale. Come ha detto san Tommaso, lo slancio della fede termina in Dio. Questa per me è una lezione teologica suprema, di altissimo livello. È un vero scienziato, ha una intelligenza che è totalmente dedicata a Dio, che vuole conoscere Dio e aiutare il mondo a conoscere Dio, a sapere di essere amato da Dio.

Ci sono in programma altre iniziative volte a divulgare le opere e il pensiero di Joseph Ratzinger?

Mons. Barthélemy Adoukonou: Vorrei condividerlo con tutta l’Africa! Dopo questo incontro a Cotonou, in lingua francese, in marzo se ne svolgerà un altro a Morogoro, in Tanzania, in lingua inglese. Penso che tutte le Chiese lo dovrebbero fare. Nell’Anno della Fede, come possiamo nutrirci di qualcosa di sostanziale?

Un’opera dello Schülerkreis è poi la nascente Accademia Missionaria Itinerante Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, che intende proporre alle Chiese “di periferia” l’opera di Ratzinger. Penso che valga la pena far conoscere il rapporto fede-ragione e la metodologia da lui proposti, perché sono decisivi per tutta la Chiesa. Abbiamo l’opportunità di mandare avanti la teologia di Ratzinger. Noi nutriamo questo sogno. Le università europee sono così secolarizzate; oggi la monocultura atea, secolarista, si impone in silenziosa violenza a tutti… Non possiamo ridurre la teologia alle scienze umane: il metodo storico-critico non basta, occorre l’integrazione con il metodo canonico, che permette di leggere tutta la Bibbia come centrata sull’evento di Dio che si è fatto uomo in Gesù per amore di noi uomini. Ratzinger lo ha fatto con tanta chiarezza. Dobbiamo allora adoperarci per portare altrove ciò che abbiamo di più prezioso qui. Questo mi sta molto a cuore. Una suora mi raccontava che Karl Rahner la indirizzò per la tesi da Ratzinger, definendolo “il più grande teologo tedesco”. È vero! Se un teologo non mi porta ad amare Gesù, se non c’è questa amicizia tra Lui e me, è tutto inutile.

(L’intervista è tratta dal sito della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI)

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Luca Caruso

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