P. Paolo Martinelli, preside dell’Istituto Francescano di Spiritualità della Pontificia Università Antonianum, con la relazione La dimensione dell’accompagnamento nella vita consacrata è intervenuto al Congresso dei formatori dei frati Minori (Assisi, 8-22 settembre)Del testo completo, consultabile nel seguente sito, se ne presentano alcuni dei brani più significativi.

***

La vocazione non è un progetto che l’individuo escogita in proprio, per il quale eventualmente chiede qualche “consulenza”; essa è piuttosto evento nel quale il Dio di Gesù Cristo irrompe nell’esistenza e pertanto, per la sua stessa natura, bisognosa di essere accompagnata, di seguire “altro” da sé. In questa prospettiva, prima ancora che essere strategica ad un percorso formativo, l’accompagnamento esprime la natura della vita consacrata come vocazione a seguire Cristo, ad appartenergli secondo una determinata forma carismatica, per essere al servizio della missione ecclesiale. Infatti, non c’è chiamata senza alterità. Non c’è formazione senza accompagnamento. La vocazione implica l’essere chiamati da una realtà che è differente dal soggetto stesso. La vocazione decentra la persona rispetto a sé, ponendola in tensione verso la perenne novità di Dio. […]

Le vocazioni non si autogenerano. Esse non sono una iniziativa del soggetto che sceglie per sé una forma di vita particolare. La chiamata per sua natura evoca una voce – una Parola – che invita ad un cammino radicale. La vocazione è eccentrica. Ha il suo centro nell’altrove. Essa non è sforzo individuale, impegno volontario, ma evento personale che introduce in una storia che precede e che va oltre la propria individualità. La chiamata è sempre personale, ma al contempo mai autoreferente. Essa riguarda l’io, la realtà più intima della persona, chiamata ad uscire da se stessa. Per questo Papa Francesco pone all’inizio della vocazione la gioia dell’incontro con Cristo che porta a lasciare tutto per servirlo nella Chiesa e per il mondo. […]

Se indubbiamente la vita religiosa con la sua scelta relativizza i beni di questo mondo a quanto è definitivo in Cristo, tuttavia in ciò alberga la più grande valorizzazione della storia e del tempo. Infatti, affermare che ogni azione ed ogni impegno sono relativi a Cristo risorto, senso ultimo della storia, significa affermare la profonda dignità di ogni istante. […] La secolarizzazione, sorta agli inizi della modernità, ha subito anche nei confronti dell’esperienza religiosa dei cambiamenti notevoli: oggi non troviamo più una pregiudiziale antireligiosa diffusa come nell’epoca delle grandi ideologie; piuttosto troviamo una sua riduzione in termini estremamente soggettivi ed emotivi, una sorta di “opzione tra le altre” – per usare una nota espressione di Charles Taylor – privata di riferimento veritativo e trascendente, una religiosità “fai da te” e del benessere, un bene di consumo – per così dire – tra altri. Anche la vita consacrata trova qui il rischio di essere concepito come una esperienza pur interessante ma strutturalmente revocabile, come ogni opzione personale. […]

All’inizio della sequela non troviamo innanzitutto un invito né ad assumere un ministero, né alla scelta celibataria. Certamente Gesù si presenta come celibe e l’invito alla sequela radicale implica l’immedesimazione con Cristo fino alla castità consacrata. Tuttavia, è interessante che all’inizio del percorso dei discepoli ci sia innanzitutto l’incontro con la sua persona e l’invito a lasciare tutto per stare con lui. Al centro vi è dunque l’ascolto obbediente nei confronti di Gesù. Da qui emerge l’immagine fondamentale della sequela: il lasciare ogni cosa, il mettersi nella condizione della povertà indica la condizione perché la sequela di Gesù sia reale e manifesti la stima sincera e totalizzante per la persona di Cristo, per stare con il quale appare gioioso vendere tutto, come si afferma nelle parabole del Regno circa il tesoro nascosto nel campo e della perla preziosa. […]

A fondamento di tutto il cammino formativo si pone ultimamente l’esperienza della fede come esperienza dell’incontro personale con Cristo, riconosciuto ed accolto dentro la propria vita. Non si insisterà mai abbastanza sulla fede come fondamento e condizione di possibilità dello stesso percorso formativo. Essa non può essere concepita come una premessa da lasciarsi, poi, alle spalle. Essa costituisce la costante porta di accesso al mistero della propria vocazione e la possibilità del suo svolgimento. La qualità della vita di fede decide anche la qualità della propria consacrazione. […]

La scoperta di Dio come infinita gratuità (“Deus caritas est”), con la possibilità di poter partecipare a tale gioia si prospetta così come l’unico ideale capace di muovere la libertà dell’uomo ad una adesione incondizionata. Solo l’incontro con Dio come amore – dono infinito, gratuito e fedele – rende ragione dell’esistenza nel suo senso ultimo; l’amore non è solo un sentimento nuovo ma è anche una nuova intelligenza di tutta la realtà; solo questo amore spiega l’enigma dell’uomo. Per questo ogni vocazione è realmente una vocazione alla perfezione dell’amore; l’esistenza rimane tragicamente incompiuta al di fuori di esso. L’amore è questione di vita o di morte; chi non ama rimane nella morte. L’amore, ossia il dono compassionevole e totale di sé, è la legge suprema dell’essere. La vocazione alla verginità consacrata trova qui il suo fondamento e la sua forma definitiva. Essa appare come modalità affettiva peculiare. La verginità entra nel mondo ultimamente come imitazione del modo con cui Cristo ha vissuto le relazioni e gli affetti, con una intensità e dedizione incomparabili. Da qui si comprende perché l’accompagnamento nella vita consacrata deve poter mettere adeguatamente a tema la verginità come forma definitivamente redenta degli affetti.

Per un approfondimento si segnala:

Paolo Martinelli, L’umiltà di Dio. Eucaristia: mistero di una presenza, Ed. Porziuncola, Assisi 2011.

Paolo Martinelli, Dammi fede diritta. Con Francesco d’Assisi per ricominciare a credere, Ed. Porziuncola, Assisi 2012.