Il perdono cristiano si esercita contemplando la passione e l’umanità di Gesù, imitando il comportamento di sua Madre. Su tale concetto, papa Francesco ha articolato la sua omelia, durante la messa di stamattina a Santa Marta, in occasione della festa del Santo Nome di Maria.
La liturgia di oggi, ha precisato il Papa, era un tempo chiamata del “dolce Nome di Maria” ma anche oggi, pur con una diversa denominazione, “è rimasta questa dolcezza del suo nome”.
La dolcezza della Madonna, ha proseguito il Santo Padre, è necessaria per “capire queste cose che Gesù ci chiede”, ovvero: “Amate i nemici, fate il bene, prestate senza sperare nulla”. Tutte “cose forti” che anche Maria ha vissuto, con la “grazia della mansuetudine” e la “grazia della mitezza”.
Le medesime virtù sono invocate da San Paolo nella prima lettura (Col 3,12-17) di oggi, quando l’Apostolo delle Genti parla di “sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine”. Una disposizione d’animo del genere non solo è tutt’altro che scontata ma è impossibile conseguirla “con il nostro sforzo”; soltanto la “grazia” può aiutarci in questo.
Tale grazia passa per il “pensare a Gesù soltanto”, ovvero attraverso la sua contemplazione: se con il cuore e con la mente ci uniamo a Lui, “che ha vinto la morte, il peccato, il demonio”, sarà possibile realizzare quello che ci chiedono Gesù e, sulla sua scia, San Paolo.
Il nostro sforzo sarà quindi quello di “pensare al suo silenzio mite” e Gesù “farà tutto quello che manca”. La vita dell’uomo va nascosta “in Dio con Cristo”. Non c’è altra strada al di fuori della “contemplazione dell’umanità di Gesù, dell’umanità sofferente”, ha proseguito il Papa.
Contemplare Gesù sofferente è l’unica strada possibile per “essere buoni cristiani”, per “non odiare il prossimo”, per “non chiacchierare contro il prossimo”, ha poi concluso.