L’opera monumentale di Alberto Savorana (“Vita di Don Giussani”, Rizzoli 2013, pagg. 1350), è la ricostruzione documentata della sua vita. Un volume affascinante perché l’Autore prende per mano il lettore e lo conduce ad esplorare la storia, la formazione e la personalità del fondatore di C.L. Sacerdote missionario dal 1953, ho conosciuto don Gius nel 1958-1959 quando andavo a sentire le sue catechesi su Gesù Cristo ai giovani dell’Azione cattolica e di Gs (Gioventù studentesca) in via Statuto 2 a Milano. Presentava Gesù non come un personaggio storico da studiare, ma presente oggi tra noi, il Figlio di Dio unico Salvatore dell’uomo. Ripeteva con voce commossa, a volte tonante: “Dobbiamo innamorarci di Gesù, che è sempre presente qui e in noi! ”. E raccontava come la “vita nuova” è di avere Gesù Cristo come primo punto di riferimento nella vita. Se la fede non mi cambia la vita, il modo di pensare e di agire, è una fiammella vacillante; se invece diventa amore e imitazione di Cristo, allora è il sole che illumina, riscalda, conforta.
Ben prima del Concilio Vaticano II, Giussani diceva che se la fede non umanizza la vita dell’uomo e della società, non conta nulla. Non avevo mai sentito una testimonianza così appassionata e convincente di quello che significa essere cristiano e prete. Don Giussani ci faceva incontrare con la persona di Gesù, toccando il cuore di molti. Era il carisma di questo grande prete e Maestro: commuoveva e convinceva chi lo ascoltava senza pregiudizi e col cuore libero e aperto. Alla domenica mandava i suoi studenti di GS tra i baraccati della periferia milanese (la “Bassa”), per aiutare le parrocchie nascenti e conoscere i problemi dell’uomo nel contatto amichevole con i poveri. I parroci erano ammirati, non poche decine di studenti, ma migliaia!
Poi ho incontrato don Giussani quando il “Sessantotto” ha sconvolto l’Occidente e la Chiesa: era un mix di laicismo, individualismo, marxismo, radicalismo. In 2000 anni il cristianesimo non ha creato il “mondo migliore”, ripartiamo da zero, il marxismo è la ricetta “scientifica”. Il Sessantotto è stato molto negativo per la scuola, la famiglia, la politica, la società italiana, la Chiesa. E’ nato come protesta degli studenti contro i “baroni” delle Università, poi contro i politici, la scuola meritocratica, i “padroni” delle fabbriche, la Polizia e la giustizia, i vescovi e anche contro Paolo VI, “il Papa martire del secolo XX”. Nelle “assemblee studentesche” prevaleva “il pensiero unico”: chi proponeva qualcosa di diverso era minacciato, a volte picchiato. I sessantottini volevano un “uomo nuovo”, una “società giusta”, la “pace nel mondo”. Questo è possibile, ma solo a partire da Gesù Cristo. Nessun gruppo di “contestatori” cattolici aveva il coraggio di proclamare questa grande verità della nostra fede. La Chiesa italiana e le associazioni cattoliche tradizionali erano passive, impotenti, soggiogate della cultura dominante. I cattolici si ritiravano nella “scelta religiosa” e lasciavano ai “laici” l’università, le scuole, la cultura, i giornali. Erano comuni in quegli anni le comunità di fedeli che si staccavano dal vescovo; non pochi sacerdoti uscivano per “sperimentare un nuovo modo essere prete”. Quasi nessuno è rientrato. Non era facile conservare la fede e l’appartenenza alla Chiesa e andare contro-corrente era pericoloso.
All’inizio degli anni settanta nasce Comunione e Liberazione, reazione provvidenziale alle ideologie anti-cristiane. Ha reso visibile la presenza dei cristiani nelle Università, nelle scuole, nei giornali e nella società. Nel 1973 CL non aveva una sede e non trovava spazi nelle strutture diocesane. Nel marzo 1973 ritorna da Hong Kong padre Giacomo Girardi come direttore del Centro Pime di via Mosè Bianchi 94 a Milano; apre subito le porte a Cl: tutto il terzo piano del nuovo edificio (18 locali abitabili, circa 600 mq). La presenza di don Giussani e di Cl nel Centro missionario Pime dura vent’anni (1973 – 1993) e crea una simbiosi tra Cl e animatori missionari del Pime, che riceve una trentina di vocazioni. Nell’ottobre 1973 Girardi organizza la prima Veglia missionaria alla vigilia della Giornata missionaria mondiale . Era un gesto coraggioso, in tempi in cui i cortei erano sempre e solo di protesta e di violenza. Invece, con Madre Teresa in testa, migliaia di persone sfilarono da una chiesa al centro fino al Duomo dove ci attendeva il card. Colombo, tutto andò bene. CL era sempre in prima linea in queste e molte altre manifestazioni simili. Memorabile la Veglia dell’ottobre 1975, con circa 100.000 giovani che sfilavano dal Castello per la Via Dante pregando e cantando, sotto gli striscioni delle Beatitudini. Al sabato sera Via Dante era solcata dai contestatori, che imbrattavano i muri, lanciavano blocchetti di pietra contro le vetrine dei negozi e i poliziotti. Il giorno dopo “Il Corriere della Sera” dedicava all’insolito avvenimento una pagina col titolo: “Dunque, i cattolici ci sono ancora!”.
Poi la campagna contro la legge sull’aborto. Il 22 aprile 1977 nello Stadio San Siro si svolge la Festa per la Vita, 80.000 giovani e sul campo 18 vescovi delle diocesi lombarde e missionari, 200 preti concelebranti e Madre Teresa tiene il suo discorso sulla vita. Poi le campagne per i profughi da Vietnam e Cambogia, con l’impegno della Caritas e delle parrocchie che hanno accolto circa 3.000 profughi; per i cristiani e la pace in Libano, contro la fame nel mondo. Don Giussani approvava e sosteneva tutto.
Don Giussani era un santo prete e un eccezionale animatore di giovani alla fede in Cristo. Ringrazio il Signore di averlo conosciuto e Alberto Savorana per questa sua biografia, dove c’è tutto, proprio tutto di lui. Nel teatro e nella “Sala rossa” del Centro missionario Pime, al sabato si teneva la “Scuola di comunità” per gli studenti. L’afflusso esauriva spesso la capienza delle due strutture (circa 1.000 posti a sedere), non pochi erano seduti per terra. Quando parlava don Giussani, noi del Pime andavamo a condividere la passione di quei giovani, seduti anche per terra. Don Gius parlava animato ed esprimeva concetti teologico-culturali di non facile comprensione. Ma quei ciellini, attenti e concentrati, scrivevano sui loro quadernetti quel il grande Gius diceva. Chissà cosa scrivevano, ma quella partecipazione di massa era un “segno dei tempi” al contrario. Nella confusione di idee, voci e ipotesi di quel tempo, i giovani volevano riscoprire le certezze della fede, per un dare un orientamento sicuro alla loro vita. E Giussani era l’uomo giusto per questo. Negli anni settanta, le ideologie del Sessantotto non attaccavano Gesù Cristo “il primo socialista”, ma la Chiesa, che Giussani difendeva con tutte le sue forze. Quando scandiva: “Ricordatevi, Gesù Cristo è l’unica ricchezza che abbiamo e Gesù lo incontriamo solo nella Chiesa cattolica, nel Papa e nei vescovi a lui uniti!”, qualche volta scoppiavano spontanei gli applausi.