L’Enciclica Lumen fidei in cui Papa Francesco riprende e completa una prima stesura redatta da Benedetto XVI è importante, prima ancora che per i contenuti, per la meravigliosa prova di continuità del magistero petrino.
I dubbi sul significato della rinuncia di Benedetto XVI sono definitivamente rimossi, ed è stato ancora Papa Francesco a cancellarli nel discorso all’Angelus del 30 giugno. Parlando della libertà che consiste nell’ascolto della voce di Dio nella propria coscienza, il Pontefice ha affermato: «Noi abbiamo avuto un esempio meraviglioso di come è questo rapporto con Dio nella propria coscienza, un recente esempio meraviglioso.
Il Papa Benedetto XVI ci ha dato questo grande esempio quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore. E questo esempio del nostro Padre fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire».
Nessun retroscena, nessun retropensiero: è stata una decisione libera, di coscienza, per il bene della Chiesa e il Papa, iscrivendo l’enciclica nel solco del magistero del suo predecessore, ha compiuto un gesto propriamente ecclesiale, nello splendore della Sposa di Cristo.
Qui non è possibile presentare adeguatamente i contenuti dell’enciclica, e mi limito a due sottolineature.
La prima è l’inscindibilità della Fede dall’Amore, per non lasciarci «rubare la Speranza», come Papa Francesco spesso ripete.
La seconda, che vuole essere un invito alla lettura, riguarda «la fede come ascolto e visione», analizzata nel n. 29 della Lumen fidei: «Proprio perché la conoscenza della fede è legata all’alleanza di un Dio fedele, che intreccia un rapporto di amore con l’uomo e gli rivolge la Parola, essa è presentata dalla Bibbia come un ascolto, è associata al senso dell’udito. San Paolo userà una formula diventata classica: fides ex auditu, “la fede viene dall’ascolto” (Rm 10,17).
La conoscenza associata alla parola è sempre conoscenza personale, che riconosce la voce, si apre ad essa in libertà e la segue in obbedienza. Perciò san Paolo ha parlato dell’“obbedienza della fede” (cfr Rm 1,5; 16,26). La fede è, inoltre, conoscenza legata al trascorrere del tempo, di cui la parola ha bisogno per pronunciarsi: è conoscenza che s’impara solo in un cammino di sequela. L’ascolto aiuta a raffigurare bene il nesso tra conoscenza e amore.
«Per quanto concerne la conoscenza della verità, l’ascolto è stato a volte contrapposto alla visione, che sarebbe propria della cultura greca. […] È invece chiaro che questa pretesa opposizione non corrisponde al dato biblico.
L’Antico Testamento ha combinato ambedue i tipi di conoscenza, perché all’ascolto della Parola di Dio si unisce il desiderio di vedere il suo volto. In questo modo si è potuto sviluppare un dialogo con la cultura ellenistica, dialogo che appartiene al cuore della Scrittura. L’udito attesta la chiamata personale e l’obbedienza, e anche il fatto che la verità si rivela nel tempo; la vista offre la visione piena dell’intero percorso e permette di situarsi nel grande progetto di Dio; senza tale visione disporremmo solo di frammenti isolati di un tutto sconosciuto».
La sottolineatura è mia: il dialogo con la cultura ellenistica «appartiene al cuore della Scrittura».
È la riformulazione dottrinale del rapporto tra fede e ragione, proprio negli aspetti culturali dei contenuti della fede.
Il Papa prosegue: «Come si arriva a questa sintesi tra l’udire e il vedere? Diventa possibile a partire dalla persona concreta di Gesù, che si vede e si ascolta. Egli è la Parola fatta carne, di cui abbiamo contemplato la gloria (cfr Gv 1,14). La luce della fede è quella di un Volto in cui si vede il Padre.
Infatti, la verità che la fede coglie è, nel quarto Vangelo, la manifestazione del Padre nel Figlio, nella sua carne e nelle sue opere terrene, verità che si può definire come la “vita luminosa” di Gesù.
Ciò significa che la conoscenza della fede non ci invita a guardare una verità puramente interiore. La verità che la fede ci dischiude è una verità centrata sull’incontro con Cristo, sulla contemplazione della sua vita, sulla percezione della sua presenza. In questo senso, san Tommaso d’Aquino parla dell’oculata fides degli Apostoli – fede che vede! – davanti alla visione corporea del Risorto.
Hanno visto Gesù risorto con i loro occhi e hanno creduto, hanno, cioè, potuto penetrare nella profondità di quello che vedevano per confessare il Figlio di Dio, seduto alla destra del Padre».
È a questo tangibile incontro con Gesù che ogni cristiano è chiamato, con la responsabilità apostolica di dischiudere a tutti, fino ai confini della terra, l’entusiasmo di questa esperienza.