L'origine della pittura murale sacra a Roma (Parte prima)

Gli affreschi nella Basilica sotterranea di San Clemente

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Tanto tempo fa ho avuto modo di disquisire sul complesso monumentale di San Clemente, uno dei più interessanti contesti romani di sovrapposizione monumentale.

Situato nella valle formata tra il Colle Oppio e il Celio a poca distanza dal Colosseo, il complesso nasce strati graficamente, cioè un monumento si sovrappone ad un altro fino a raggiungere l’aspetto attuale, partendo dall’edificio più antico di epoca imperiale datato al II secolo d.C. Questo edificio, raggiungibile mediante una doppia rampa di scale ed inserito in un intricato sistema di sale e corridoi, presenta tracce consistenti di una struttura in opus quadratum, cioè formata da grandi blocchi in tufo con cornice in travertino e partizioni interne realizzate con la tecnica edilizia dell’opus mixtum, cioè l’alternanza di piccoli cubi in pietra con filari di mattoni.

Si ritiene che l’edificio possa essere stato destinato ad uso horrea (magazzini), ma altre teorie sostengono che la sua monumentalità possa derivare dal fatto che la sua reale destinazione sia stata quella della Zecca imperiale, prima del trasferimento sul Campidoglio. Poco prima del suo abbandono la pavimentazione venne rialzata di circa80 cm. Uno stretto corridoio divide questo edificio da un’antica abitazione, la cui prima fase, datata all’inizio del II secolo d.C., si disloca su tre livelli, a sua volta edificata al di sopra di una precedente costruzione distrutta da un incendio intorno alla metà del I secolo d.C. Successivamente, a partire dal III secolo, venne ricavato al pianterreno un ambiente per il culto mitraico, importato a Roma alla metà del I secolo a.C

Intorno alla metà del III secolo venne costruito un edificio in seguito trasformato nell’attuale Basilica Inferiore ed identificato dalle fonti come un luogo di carattere cristiano denominato titulus Clementi (molto simile alle nostre parrocchie). A partire dal IV secolo il complesso subì un notevole sviluppo con l’aggiunta dell’abside, di un nartece e di due navate laterali scandite da due file di colonne a nove arcate. 

Poco dopo la distruzione dell’intero quartiere ad opera di  Roberto il Guiscardo nel 1084, la chiesa venne abbandonata, lo spazio compreso tra una colonna e l’altra della navata di sinistra vennero chiusi e venne realizzato un muro per l’intera larghezza della navata centrale, utilizzato come fondazione per la costruenda Basilica Superiore.

L’importanza della Basilica Inferiore di San Clemente non è soltanto derivante dalla monumentalità e dalle numerose sfaccettature e tipologie architettoniche. Durante il periodo compreso tra la nascita dell’edificio religioso e il suo abbandono, vennero realizzati affreschi di grande importanza storica ed artistica, datati all’epoca della fondazione della chiesa inferiore al XII secolo.

E’ d’obbligo iniziare l’analisi degli affreschi con il cosiddetto ‘Miracolo di S. Clemente’ collocato nel nartece. La tradizione vuole che il Santo fosse sepolto all’interno di una cappella subacquea posta nel Mar Nero e che questa fosse oggetto di culto e venerazione da parte dei fedeli. Un giorno una mamma ‘dimentica’ nella cappella suo figlio e a causa della ‘chiusura delle acque’ non poteva più recuperarlo. Chiede allora a S. Clemente di proteggere suo figlio e di permettergli di ritrovarlo sano e salvo alla riapertura delle acque. Cosi accadde e da allora a S. clemente venne attribuito questo miracolo rappresentato mirabilmente sulla parete corrispondente alla facciata della basilica inferiore. La scena fotografa perfettamente l’emozione del genitore nel momento in cui riabbraccia suo figlio. La donna è rappresentata commossa, agitata per il forte spavento, prendendolo in braccio e stringendolo a se come fosse l’ultima volta. Intorno, il paesaggio ‘marino’ viene reso dalla combinazione di colori e dalla presenza di pesci. Nella parte inferiore dell’affresco c’è la presenza di un clipeo all’interno del quale l’immagine del Santo a cui si rivolgono i membri della famiglia donataria dell’affresco: Beno de Rapiza, sua moglie Maria detta ‘macellaria’ perché dedita al commercio delle carni, ‘per timore di Dio e per rimedio dell’Anima sua’, la loro figlia Altilia, suo figlio Clemente e un’altra donna.

Allo stesso Beno de Rapiza si attribuisce la committenza di un altro affresco presente nella navata centrale e chiamato ‘Messa di S. Clemente’. Nella parte centrale (quella più conservata) è rappresentato S. Clemente dedito alla celebrazione della Messa nell’atto della Pax Domini (introdotta nel rito proprio dal Santo). Nella fascia inferiore siamo di fronte ad una scena che rappresenta uno dei primi esempi di espressione del volgare italiano/romanesco (al contrario di quanto fa S. Clemente che si esprime in latino). Nella scena vengono rappresentati il tiranno Sisinnio e i suoi servi che credono di aver afferrato il corpo del Santo per trascinarlo in prigione. In realtà, a causa della perdita momentanea della vista, hanno afferrato una colonna, molto pesante per loro e di difficile trasporto. Ed è qui che Sisinnio, dopo averli nominati uno ad uno li apostrofa con una frase colorita tipica del gergo volgare romanesco.

* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.

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Paolo Lorizzo

Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l'Università degli Studi di Roma de 'La Sapienza'. Esercita la professione di archeologo.

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