Esiste l'anima? (Prima parte)

Un percorso fenomenologico

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Ha ancora senso parlare oggi dell’anima umana, dopo tutto lo sviluppo delle neuroscienze, della psicoanalisi e soprattutto della filosofia odierna, che mette in discussione non soltanto qualsiasi riferimento a questo tema, ma la domanda stessa sull’essenza dell’uomo?

Infatti chiedersi “chi è l’uomo?” significa andare alla ricerca di un fondamento che permane identico, indipendentemente dalla sua collocazione nello spazio e nel tempo. La cultura odierna, per lo più, non si pone questa domanda nella sua radicalità e si limita a constatare l’esistenza di una pluralità variegata di paradigmi antropologici, senza riuscire a sapere  chi è veramente l’uomo.

Scrive in proposito Heidegger:

“Nessuna epoca ha avuto, come l’attuale, nozioni così svariate e numerose sull’uomo. […] E’ anche vero però che nessuna epoca ha saputo meno della nostra che cosa sia l’uomo. Mai l’uomo ha assunto un aspetto così problematico come ai nostri giorni”[i].

Una via di accesso per la conoscenza dell’essere umano può essere rappresentata proprio dalla fenomenologia di Heidegger, il quale in Essere e Tempo ha elaborato un metodo filosofico applicabile ad ogni realtà.

In questa opera il filosofo ricerca il senso dell’essere, che, secondo lui, la metafisica ha  “obliato” affermando che il concetto di essere è “il più generale di tutti”, è “indefinibile” ed “ovvio”[ii], mentre per Heidegger è invece necessario “ripetere il problema dell’essere”[iii] perché “il senso dell’essere continua ad essere avvolto nell’oscurità”[iv].

Pertanto, il filosofo re-imposta la questione ontologica ponendosi il problema del senso dell’essere e della sua conoscibilità, ed elabora un methodos, un cammino, per guadagnare questo senso e questa conoscibilità.

E’ interessante sottolineare che l’indagine heideggeriana si muove sul piano puramente formale, in quanto essa, scrive il filosofo, “non caratterizza il che-cosa reale degli oggetti della ricerca filosofica, ma il suo come[v]. Infatti ogni realtà, anche l’essere umano, può essere analizzata nel suo aspetto fenomenico (come fenomeno), quindi secondo una specifica modalità.

L’analisi del metodo fenomenologico di Heidegger, e il suo raffronto con quello del suo maestro Husserl, richiederebbe un trattazione a parte, ma è qui sufficiente evidenziare che Heidegger identifica, come vedremo subito, il concetto di fenomeno con quello di ente, e così facendo riabilita, di fatto e contrariamente alle sue intenzioni, l’ontologia classica e in particolare quella di San Tommaso d’Aquino.

Secondo l’indagine condotta da Heidegger, il fenomeno è, in senso originario, “ciò che si manifesta in se stesso”. Scrive infatti il filosofo: “L’espressione greca fainomenon, a cui risale il termine «fenomeno», deriva dal verbo fainestai che significa manifestarsi; fainomenon significa quindi ciò che si manifesta, il manifestantesi, il manifesto; fainestai stesso è una forma media di faino, illuminare, porre in chiaro, ossia ciò in cui qualcosa può manifestarsi, rendersi visibile in se stesso. Bisogna dunque tener ben fermo il seguente significato dell’espressione «fenomeno»: ciò che si manifesta in se stesso, il manifesto. I fainomena, i «fenomeni», costituiscono dunque l’insieme di ciò che è alla luce del giorno o può essere portato in luce, ciò che i greci a volte identificavano senz’altro con ta onta (l’ente)”[vi].

I fenomeni sono enti e la legge fondamentale dell’ente in quanto ente, come insegnano Aristotele e San Tommaso, è il principio di non contraddizione, secondo il quale la stessa cosa non può essere e non essere nello stesso tempo e sotto lo stesso aspetto.

Questo principio, secondo Heidegger (e anche secondo Nietzsche) ha un valore logico, ma non ontologico, cioè non è un principio intrinseco di ogni realtà, ma è  proprio la descrizione fenomenologica della realtà a mostrare che ogni ente in quanto ente  non è non ente: un foglio in quanto foglio non è non foglio, cioè non può esistere nell’ordine della realtà un foglio non foglio (per es. un foglio-penna), come non può esistere nell’ordine della idealità un cerchio non cerchio (per es. un cerchio quadrato).

Come vedremo, il rispetto del principio di non contraddizione consentirà di dimostrare l’esistenza dell’anima spirituale, perché i fenomeni rimandano a delle dimensioni che non sono immediatamente evidenti,  ma che “appaiono” sul fondamento di  “ciò che si manifesta in se stesso”: “è l’annunciarsi – scrive Heidegger – di qualcosa che non si manifesta sul fondamento di ciò che si manifesta”[vii].  

*

NOTE

[i] M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica, Silva, Genova 1962, pp. 275-276.

[ii] Idem, Essere e tempo,  Longanesi, Milano 1976, p. 18. Il concetto di essere analizzato da Heidegger corrisponde a quello di ente elaborato da Suarez e non a quello di actus essendi. La sua critica alla metafisica non coinvolge quindi la scoperta originale di San Tommaso d’Aquino: l’essere inteso come atto, dinamismo, energhèia, distinto dall’ente, il quale è ciò che è in atto.

[iii] Ibidem, p. 19.

[iv] Ibidem.

[v]  Ibidem, p. 46.

[vi]  Ibidem, pp. 47- 48. 

[vii] Ibidem, p. 48.

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Maurizio Moscone

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