Per la comprensione del complesso momento presente, soprattutto delle questioni mediorientali, risulta interessante il recente libro di Massimo Borghesi, “Critica della teologia politica. Da Agostino a Peterson: la fine dell’era costantiniana”, Marietti, Milano 2013. In merito a ciò si riportano i brani centrali dell’intervista concessa dall’Autore a Paul Freeman e pubblicata nel sito: http://www.cristianocattolico.it/catechesi/etica-e-morale/teologia-politica-un-modo-per-usare-dio-a-sostegno-dell-ideologia-e-della-prepotenza.html
***
La teologia politica si attiva solo in funzione di un avversario, di un nemico. In ciò Carl Schmitt, il teorico della teologia politica nel ‘900, ha perfettamente ragione. Per questo non c’è uso politico della religione se non ci sono nemici. Lo si è visto dopo l’89: l’era della globalizzazione, una volta sconfitto il comunismo, non ha più bisogno della consacrazione religiosa. Il capitalismo degli anni ’80-’90 non sa che farsene della religione.
Questa torna utile dopo l’11 settembre 2011, nello scontro di civiltà che divide l’Occidente teocon dall’islamismo radicale. La disastrosa guerra in Iraq segna la crisi, almeno in Occidente, di questa prospettiva. Oggi l’Europa non è dominata da teologie politiche ma da un nichilismo diffuso che dubita fortemente riguardo al proprio avvenire. Il dramma è che non sa opporre alle teologie politiche che insanguinano il Medio Oriente e il Nord Africa altro che il proprio scetticismo. […]
La teologia politica non rappresenta un ramo della teologia, essa è una forma della secolarizzazione, cioè della mondanizzazione della fede. La confusione sorge dal fatto che non si distingue, abitualmente, tra teologia politica e teologia “della” politica. La teologia della politica implica la trascendenza del momento teologico su quello politico; essa si occupa della dimensione politica in funzione del bene della civitas. Il suo, però, è un rapporto indiretto.
La Chiesa non interviene direttamente sulla politica, lo Stato, ecc. Essa opera attraverso una mediazione etica, giuridica, senza la pretesa che le leggi civili coincidano pienamente con l’etica cristiana. La teologia politica, al contrario, opera direttamente. Essa abbisogna del potere per essere. E questo sia nella sua versione di destra, in cui la Chiesa diviene Chiesa di Stato e lo Stato diviene confessionale, sia in quella di sinistra in cui la Chiesa diviene, come in Metz, il soggetto perennemente “critico” delle istituzioni mondane, una sorta di contropotere permanente. […]
La Grazia è il vero contropotere. Per questo il suo frutto è la humilitas. La scelta inaudita di Papa Benedetto, con la sua rinunzia al pontificato, assume, da questo punto di vista, un valore epocale. Benedetto XVI è il Papa che ha iniziato il suo pontificato con il mandato di opporsi alla “sporcizia nella Chiesa”, cioè a quella mondanizzazione-burocratizzazione che ha caratterizzato la vita ecclesiale nel corso degli ultimi trent’anni. Teologia politica, in questo caso, ha significato clericalismo, uso spregiudicato del potere in funzione delle carriere. E’ qui che si situa il filo rosso che, al di là della diversità degli stili, unisce il pontificato di Benedetto a quello di Francesco.