Il contesto in cui viene ambientato questo racconto è la casa di un anonimo fariseo, piena di persone che avevano lo sguardo fisso su Gesù, ma nello stesso tempo anche Gesù era intento ad osservare i loro comportamenti, scrutando le intenzioni segrete dei loro cuori.
“Un sabato era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarlo Osservando poi come gli invitati sceglievano i primi posti, disse loro una parabola:” (Lc 14,1.7). La prima relazione con Gesù è sempre uno scambio di sguardi. Noi guardiamo Lui attraverso la meditazione delle Sacre Scritture, le piaghe dei poveri e la bellezza del creato. Lui guarda noi scorgendo le autentiche e profonde intenzioni del nostro animo. E la prima cosa che Gesù nota, è proprio il posto che noi attribuiamo a Dio nella nostra vita.
La parabola racconta da Gesù riguarda la scelta dei posti ad un banchetto di nozze, non tanto per evidenziare che esistono posti di diverso prestigio, quanto per indicare chi è colui che deve assegnarci il giusto posto che ci spetta. Tutti noi tendiamo a considerarci migliori dell’altro, ci attribuiamo da soli un posto che non ci è dovuto. Questo atteggiamento è conseguenza della superbia e dell’orgoglio frutto del peccato originale, che si traduce nello scegliere al posto di Dio.
Questa parola di Gesù ha il suo ultimo fine quello di invitare ogni uomo a considerarsi umile, ed avere una giusta considerazione di se stessi. Nei nostri tempi avvertiamo sempre più spesso il fenomeno dell’autoesaltazione e dell’autoaffermazione, due atteggiamenti che distruggono le relazioni tra gli uomini e impoveriscono il nostro rapporto con Dio.
Solo dando a Dio il giusto posto nella nostra vita, solo considerando Gesù come lo sposo che ama totalmente la sua sposa (la Chiesa) a tal punto da dare la sua vita per lei, solo così possiamo entrare nella logica dell’occupare l’ultimo posto (la croce). Prendere l’ultimo posto non è qualcosa di disonorevole, ma significa scegliere di vivere in comunione con Gesù “che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt 20, 28).
Queste parole di Gesù definiscono il vero ritratto della persona umile, che non è solo colui che si mette all’ultimo posto, ma con il suo cuore desidera essere al posto di comando. L’umile è colui che è chiamato concretamente a mettersi in prima fila per servire e non essere servito.
Le parole di Gesù sulla scelta dei posti sono la giusta introduzione alla parte successiva sulla scelta degli invitati. Colui che vuole davvero servire gli ultimi e gli emarginati, non fa distinzione di persone. Invece colui che è sempre in cerca di accrescere i propri affari, è intento a compiere ogni gesto solo per ottenere qualcosa in contraccambio.
<p>Un cristiano si distingue per la gratuità delle sue opere, non attende nulla dagli uomini, perché è sicuro che la sua ricompensa gli sarà offerta da Dio. L’uomo che non riesce a vivere questa logica della donazione gratuita, sarà sempre pronto a trovare falsi pretesti per escludere proprio coloro che hanno bisogno del suo affetto e della suo attenzione.
Tutte le nostre azioni hanno spesso una finalità di riottenere in qualche forma quello che abbiano dato. Questo atteggiamento priva il cuore dell’uomo di quella libertà che si può ottenere solo vivendo lo spirito di servizio nella gratuità.
I litigi, le contese, i giudizi sono spesso conseguenza di una inattesa ricompensa che ci si aspetta. La nostra mentalità segue troppo spesso il meccanismo causa-effetto. “Io ho dato e pertanto devo avere”. Questa è la frase ricorrente di tantissimi di noi. E questo “avere” deve avvenire in tempi rapidi, in tempi stabiliti da noi. Quando questi tempi si allungano, nasce la delusione, cresce lo scoraggiamento, perché pensiamo di non essere stati giustamente ricompensati da Dio e dagli uomini.
La fede che Gesù ci propone è totalmente diversa, perché è fondata sul “credo” nella resurrezione dei morti. Il tempo della ricompensa è rinviato dopo il nostro pellegrinaggio terreno, perché la vera ricompensa è la vita eterna. Ogni altra ricompensa terrena è un anticipazione di quella vita con Gesù che vivrà sempre con noi e passerà al banchetto celeste per servirci (Lc 12,37).
Il proseguo del Vangelo di Luca continua con una parabola di coloro che non accettano l’invito a cena di un uomo ricco. Molti sono gli invitati, ma alcuni si ritengono autogiustificati di non partecipare, perché presi da altri impegni o da altre priorità. Questa cena è un riferimento al banchetto escatologico, dove tutto è pronto, tutto è imbandito, si aspetta solo gli invitati. E proprio a causa di quel rifiuto vengono invitati i poveri, gli storpi, i ciechi, gli zoppi, ossia coloro che erano esclusi dalla società civile e dalla comunità religiosa, perché considerati impuri.
Questa è una parola di grande misericordia, perché è un richiamo al nostro destino futuro. Noi tutti siamo invitati da Dio, nessuno è escluso, ma la scelta di accogliere questo invito spetta liberamente ad ognuno di noi. Questa decisione di accettare la vita eterna dipenderà da come abbiamo agito nella vita terrena. Per questo dobbiamo combattere quotidianamente il pensare esclusivamente ai nostri interessi (Ho comprato un campo e devo andare a vederlo, Lc 14,18) ai nostri affari (Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli, Lc 14,19) o alle nostre relazioni umane quando non riconoscono il primato della intima comunione con Dio (Ho preso moglie e perciò non posso venire, Lc 14,20).