Nell’articolo precedente, Papa Francesco, la "Lumen Fidei" e l'arte Sacra (Seconda parte). L'arte sacra come specchio del volto di Gesù [1] , a partire dalla lettura della Lumen Fidei, abbiamo mostrato come la dinamica del vedere intrinseca nella fede in Gesù Cristo sia il fondamento dell’arte figurativa cristiana.

Infatti, nell’enciclica viene argomentato che, come il prodotto dell’ascolto è la testimonianza in parole, così il prodotto della visione è farsi specchio. Potremmo dire che l’arte sacra può essere considerata come finalizzata a farsi specchio del volto di Gesù, che è stato tramandato dalla Chiesa, che è il luogo della memoria della oculata fides.

L’enciclica pone, infatti, una dinamica cristocentrica di figura, immagine e specchio:  «Il credente impara a vedere se stesso a partire dalla fede che professa la figura di Cristo è lo specchio in cui scopre la propria immagine realizzata. E come Cristo abbraccia in sé tutti i credenti, che formano il suo corpo, il cristiano comprende se stesso in questo corpo, in relazione originaria a Cristo e ai  fratelli nella fede» (n. 22). Cristo è specchio dell’immagine realizzata del credente. Ogni immagine trova la propria piena configurazione nella figura di Gesù, nello specchiarsi nel suo volto. L’arte sacra cristiana deve farsi specchio della figura di Gesù Cristo. Cristo è origine e fine di tutto il “sistema d’arte cristiano” [2].

L’enciclica sembra porre tutti i fondamenti a sostegno di un’arte cristocentrica, figurativa, bella, universale, narrativa, così come il Magistero ha insegnato nel corso della tradizione [3].

Adesso vorremmo mettere in evidenza come l’enciclica sottolinei il legame insopprimibile tra la verità della fede e la realtà della storia: la luce di Cristo illumina la storia, vive nella storia, si incarna nella tradizione. Questa completa illuminazione della storia, il completo coinvolgimento della storia dell’uomo nella luce della fede, implica il pensare anche la storia dell’arte in questa prospettiva, fino a delineare la storia dell’arte come specchio della fede.

Vediamo innanzitutto questo legame insopprimibile tra la storia e la fede. La fede «da una parte, essa procede dal passato, è la luce di una memoria fondante, quella della vita di Gesù, dove si è manifestato il suo amore pienamente affidabile, capace di vincere la morte. Allo stesso tempo, però, poiché Cristo è risorto e ci attira oltre la morte, la fede è luce che viene dal futuro, che schiude davanti a noi orizzonti grandi» (n. 4). Dunque la vita di Gesù è memoria fondante, luce che procede dal passato, e insieme è apertura di orizzonti, dunque luce che viene dal futuro: tutta la storia è coinvolta nella luce di Gesù. L’incarnazione e la risurrezione di Gesù Cristo abbracciano tutto il cammino dell’uomo: «con la sua incarnazione e risurrezione, il Figlio di Dio ha abbracciato l’intero cammino dell’uomo e dimora nei nostri cuori attraverso lo Spirito Santo» (n. 20)

La fede è risposta a una Parola che ci precede, e dunque è memoria di una promessa capace di aprire il futuro: «in quanto risposta a una Parola che precede, la fede di Abramo sarà sempre un atto di memoria. Tuttavia questa memoria non fissa nel passato ma, essendo memoria di una promessa, diventa capace di aprire al futuro, di illuminare i passi lungo la via. Si vede così come la fede, in quanto memoria del futuro, memoria futuri, sia strettamente legata alla speranza» (n. 9)

La fede, nella sua unità ed integrità, apre gli orizzonti della storia, impone la fedeltà nel tempo, grazie al sostegno dello Spirito Santo: «Benedetto XVI ha voluto indire quest’Anno della fede, un tempo di grazia che ci sta aiutando a sentire la grande gioia di credere, a ravvivare la percezione dell’ampiezza di orizzonti che la fede dischiude, per confessarla nella sua unità e integrità, fedeli alla memoria del Signore, sostenuti dalla sua presenza e dall’azione dello Spirito Santo» (n. 5).

La realtà della fede nella storia implica il racconto del cammino: «se vogliamo capire che cosa è la fede, dobbiamo raccontare il suo percorso, la via degli  uomini credenti» (n. 8).

Questo non significa affatto la relativizzazione storica della fede, non significa che la storia dia senso alla fede, al contrario significa che la fede dà significato alla storia, rende possibile la continuità del cammino storico: «La fede … rende possibile la continuità del cammino nel tempo» (n. 10).

Nella storia, Dio incontra gli uomini, si rivela, manifesta i suoi benefici, compie le sue promesse; questo implica per il fedele la memoria di questo cammino storico e dunque il suo racconto: «la memoria dei fatti operati dal Signore, ricordati e confessati nel culto, trasmessi dai genitori ai figli. Impariamo così che la luce portata dalla fede è legata al racconto concreto della vita, al ricordo grato dei benefici di Dio e al compiersi progressivo delle sue promesse» (n. 12).

Proprio l’arte ha il compito di raccontare questa storia, così come fanno le vetrate delle cattedrali gotiche, assunte dall’enciclica come esempio di racconto della memoria della storia della salvezza: «L’architettura gotica l’ha espresso molto bene: nella grandi cattedrali la luce arriva dal cielo attraverso le vetrate dove si raffigura la storia sacra. La luce di Dio ci viene attraverso il racconto della sua rivelazione, e così è capace di illuminare il nostro cammino nel tempo, ricordando i benefici divini, mostrando come si compiono le sue promesse» (n. 12)..

La memoria della storia implica fede nella concretezza della presenza di Dio nella vita degli uomini, elemento da recuperare costantemente nella nostra cultura: «La nostra cultura ha perso la percezione di questa presenza concreta di Dio, della sua azione nel mondo» (n. 17).

Proprio a consapevolezza dell’azione concreta di Dio nel tempo implica il dovere del raccontare questa storia: «La trasmissione della fede, che brilla per tutti gli uomini di tutti i luoghi, passa anche attraverso l’asse del tempo, di generazione in generazione. Poiché la fede nasce da un incontro che accade nella storia e illumina il nostro cammino nel tempo, essa si deve trasmettere lungo i secoli. È attraverso una catena ininterrotta di testimonianze che arriva a noi il volto di Gesù» (n. 38).

La storia dell’arte cristiana è testimone e narratrice della storia di Dio con gli uomini, e nello stesso tempo, proprio per questo, la storia dell’arte cristiana va letta come storia di una testimonianza di fede: la fede illumina e dà significato anche alla storia dell’arte.

Questo implica la consapevolezza del legame insopprimibile tra la storia degli uomini e la Chiesa, e anche di conseguenza tra la storia dell’arte e la Chiesa, perché la Chiesa è il soggetto unico della memoria: «Il passato della fede … ci arriva nella memoria di altri, dei testimoni, conservato vivo in quel soggetto unico di memoria che è la Chiesa» (n. 38).

La Chiesa trasmette il contenuto della memoria: «La Chiesa, come ogni famiglia, trasmette ai suoi figli il contenuto della memoria …  È attraverso la tradizione apostolica conservata nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo, che noi abbiamo un contatto vivo con la memoria fondante … Ma ciò che si comunica nella Chiesa, ciò che si trasmette nella sua tradizione vivente, è la luce nuova che nasce dall’incontro con il Dio vivo» (n. 40)..

La Chiesa è di conseguenza maestra e madre della fede e del linguaggio con cui si può e si deve confessare la fede e raccontare la storia della salvezza:  «Per quei cristiani la fede, in quanto incontro con il Dio viventi manifestato in Cristo, era una “madre”, perché li faceva venire alla luce, generava in essi la vita divina, una nuova esperienza, una visione luminosa dell’esistenza per cui si era pronti a dare testimonianza pubblica fino alla fine» (n. 5).

Il racconto della storia nella luce della fede è racconto della storia d’amore tra Dio e gli uomini: «I cristiani, invece confessano l’amore concreto e potente di Dio, che opera veramente nella storia e ne determina il destino finale» (n. 17).

Questa consapevolezza implica un impegno che coinvolge completamente la vita degli uomini: «il Figlio di Dio ha assunto la nostra carne, e così la sua visione del Padre è avvenuta in modo umano, attraverso un cammino e un percorso nel tempo … è fede in un Dio che si è fatto così vicino da entrare nella nostra storia … questo porta il cristiano a impegnarsi, a vivere in modo ancora più intenso il cammino sulla terra» (n. 18).

Non è possibile sfuggire all’interrogativo di come anche l’arte sia coinvolta in questo impegno totale dell’uomo nella fede. L’arte del cristiano è in se stessa completamente coinvolta nella fede, da cui riceve luce e vita.  «Il credente impara a vedere se stesso a partire dalla fede che professa: la figura di Cristo è lo specchio in cui scopre la propria immagine realizzata» (n. 22).

La fede non è un fatto privato, e va confessata a voce alta, va annunciata:  «La fede non è un fatto privato, ma nasce da un ascolto ed è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio. … La fede si fa allora operante nel cristiano a partire dal dono ricevuto» (n. 22).

Nella prospettiva del racconto della storia del cammino della fede e nella prospettiva dell’annuncio della fede si colloca a mio avviso l’arte come specchio della testimonianza:  «Poiché la fede è ascolto e visione, essa si trasmette anche come parola e come luce … È una luce che si specchia di volto in volto» (n. 37).

La storia dell’arte cristiana andrebbe letta come trasmissione nel tempo della visione della fede: «La luce di Gesù brilla, come in uno specchio, sul volto dei cristiani e così si diffonde, così arriva fino a noi, perché anche noi possiamo partecipare a questa visione e riflettere ad altri la sua luce, come nella liturgia di Pasqua la luce del cero accende tante altre candele. La fede si trasmette, per così dire, nella forma del contatto, da persona a persona, come una fiamma si accende da un’altra fiamma. I cristiani, nella loro povertà, piantano un seme così fecondo che diventa un grande albero ed è capace di riempire il mondo di frutti» (n. 37).

Il luogo privilegiato dell’arte come testimonianza della fede è l’arte sacra ovvero l’arte a servizio della liturgia: «La liturgia, ce lo ricorda con il suo hodie, l’ “oggi” dei misteri della salvezza. D’altra si trova qui anche l’asse che conduce dal mondo visibile verso l’invisibile» (n. 44).

Ricordiamo come il Concilio Vaticano II nel messaggio agli artisti abbia definito il compito dell’arte proprio nei termini di “rendere avvertibile il mondo invisibile”.

Questa dimensione cristiana dell’arte implica un linguaggio coerente, una fedeltà alla unità della fede nella sua integrità. Non si tratta di una coerenza che l’arte possa pretendere da se stessa, ma al contrario significa farsi umile e serva della verità:  «Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, come stella che guida lungo una strada di scoperte» (n. 35).

La storia dell’arte può essere letta come una storia di scoperte di modi di dire la fede; la prospettiva per esempio è un mezzo con cui l’arte ha imparato a farsi umile annunciatrice della fede, del patrimonio unitario e indiviso della fede: «La fede è una perché è condivisa da tutta la Chiesa, che è un solo corpo e un solo Spirito. Nella comunione dell’unico soggetto che è la Chiesa, riceviamo uno sguardo comune» (n. 47).

Proprio l’unità e l’unicità della fede implica unità e unitarietà nella sua confessione:  «Dato che la fede è una sola, deve essere confessata da tutta la sua purezza e integrità. Proprio perché tutti gli articoli di fede sono collegati in unità, negare uno di essi, anche di quelli che sembrerebbero meno importanti, equivale a danneggiare il tutto» (n. 48).

Questo implica per l’arte la grande responsabilità di dire la fede senza tradirla, senza cedere alle difficoltà di un momento storico: «Ogni epoca può trovare punti della fede più facili o difficili da accettare: per questo è importante vigilare perché si trasmetta tutto il deposito della fede, perché si insista opportunamente su tutti gli aspetti della confessione di fede» (n. 48).

L’unità della fede à paragonata alla unitarietà viva di un organismo: «L’unità della fede è dunque quella di un organismo vivente, come ha ben rilevato il beato John Henry Newman quando enumerava, tra le note caratteristiche per distinguere la continuità della dottrina nel tempo, il suo potere di assimilare in sé tutto ciò che trova, nei diversi ambiti in cui si fa presente,  nelle diverse culture che incontra, tutto purificando e portando alla sua migliore espressione» (n. 48)

Questo implica anche per l’arte la capacità di assumere ciò che è buono e redimerlo alla luce della fede, escludendo ciò che invece risulta incompatibile alla trasmissione del messaggio, così come un  organismo può e deve nutrirsi di tutto ciò che  è commestibile.

Nel prossimo articolo cercheremo di semplificare cosa significhi la lettura della storia dell’arte cristiana nella prospettiva della storia dell’annuncio, quali implicazioni concrete rechi l’adesione alla fede anche per l’arte, cosa concretamente significhi per l’arte fare parte della storia dell’incontro di Dio con gli uomini. Si tratterà, di fatto, di delineare l’identità e il dinamismo del sistema d’arte cristiano [4], ovvero della storia dell’arte sacra come specchio della fede, nella luce della Lumen Fidei.

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NOTE

[1] http://www.zenit.org/it/articles/papa-francesco-la-lumen-fidei-e-l-arte-sacra-seconda-parte   (5 agosto 2013)

[2] Sul “sistema d’arte cristiano” cfr. R. Papa, Discorsi sull’arte sacra, Cantagalli, Siena 2012, cap. II.

[3] Sul Magistero e l’arte cfr. R.Papa, I colori dello spirito. Capolavori dell’arte cristiana tra XIV e XVII secolo, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi), 2005.

[4] cfr. R. Papa, Discorsi sull’arte sacra, Cantagalli, Siena 2012, cap. II.