Dopo aver effettuato qualche divagazione al di fuori delle mura cittadine, riprendiamo ad analizzare una struttura di culto cristiano del centro storico. La Basilica di S. Maria in Trastevere rappresenta, per storia, posizione e tradizione, uno dei più fulgidi esempi di devozione cristiana nel cuore pulsante di Roma. Tutti conoscono la devozione del popolo romano alla Vergine Maria e la Basilicatrasteverina rappresenta sicuramente il primo edificio di culto a Lei dedicato, ma probabilmente il primo tempio cristiano edificato nella Capitale.
La sua origine infatti si fa risalire ai tempi del pontefice Giulio I nel 340, che riprese un antico oratorio fatto costruire pochi decenni prima da papa Callisto, il cui toponimo, titulus Calixti, rimase in uso fino al VI secolo. La costruzione dell’edificio è legata ad una tradizione piuttosto curiosa. Si narra infatti che molto tempo prima della fondazione dell’oratorio, nel 38 a.C., fuoriuscì improvvisamente dal terreno uno zampillo di olio, poi denominato fons olei. Questo venne interpretato dai cristiani come il segno dell’immediato arrivo di Cristo, considerato come l’Unto del Signore e quindi strettamente legato allo zampillo, la cui fuoriuscita è tutt’oggi identificabile attraverso l’indicazione su un gradino del presbiterio.
L’edificio fu quasi integralmente ricostruito da papa Innocenzo II nel XII secolo riutilizzando molto materiale lapideo proveniente dalle Terme dell’imperatore Caracalla sull’Aventino. Per la costruzione del portico esterno venne incaricato Carlo Fontana, che lo impostò su cinque arcate sorrette da quattro colonne di granito, alle cui estremità vennero collocate due paraste che ancora sorreggono una balaustra con le quattro statue dei Santi Callisto, Cornelio, Giulio e Calepodio.
Attualmente l’interno del portico è decorato da iscrizioni e frammenti lapidei, ma fino alla fine dell’800 erano anche visibili coltelli e spiedi un tempo usati come armi e qui appesi da tutti coloro i quali decidevano di cambiare vita e abbandonare la strada della violenza.
Allo stesso periodo del vestibolo risale il campanile, anch’esso edificato nella prima metà del XII secolo, all’interno del quale vi sono quattro campane datate 1580, 1600, 1667 e 1772. Nella facciata principale è incastonato un orologio risalente al XIX secolo, sulla cui sommità è posizionato un tabernacolo con un mosaico raffigurantela Vergine col Bambino. Il campanile ha il primo piano scandito da trifore con pilastro, il secondo ed il terzo piano da doppie bifore su colonnine ed infine il quarto da trifore su colonnine.
Divisa in tre navate scandite da una doppia fila di colonne antiche di riuso, l’interno è impreziosito da alcuni splendidi mosaici realizzati da Pietro Cavallini del XIII con le sei storie della “Vita di Maria”, mentre all’esterno, sulla facciata, vi è la raffigurazione di “Maria in trono con il Bambino” e dieci donne recanti lampade, di cui otto accese a simboleggiare la verginità e due spente e tenute tra le mani di donne velate, probabilmente rappresentanti due vedove.
L’interno della basilica presenta numerose sepolture di personaggi piuttosto noti tra cui quelle dei cardinali Pietro Stefaneschi, Osio e d’Alençon, Altemps di Gallese, Armellini e anche quella di papa Innocenzo II, qui trasferita da papa Pio IX dal Laterano. Di straordinario sapore barocco e di indubbia qualità artistica ed architettonica èla Cappella Avila, fatta realizzare da Pietro Paolo Avila affidando, nel 1678, il compito di restaurare la cappella di famiglia al pittore reatino Antonio Gherardi, improvvisatosi architetto. Ne venne fuori una sorta di piccolo teatro sacro chiaramente ispirato all’estro e al talento dei due grandi rappresentanti dell’architettura romana Bernini e Borromini. La cappella, dedicata a S. Girolamo, presenta un magnifico quadro, da lui stesso dipinto, collocato in fondo al corridoio, facendolo magistralmente risaltare. Tra i vari accorgimenti architettonici, quello che probabilmente stupisce di più è la presenza di una piccola cupola al centro della volta, da cui emergono quattro angeli che danno l’impressione di portare in volo una lanterna, la cui luce esterna permette di creare giochi di luci ed ombre di assoluta suggestione prospettica.
In una piccola nicchia in fondo alla navata destra, sono conservati alcuni strumenti di tortura utilizzati per numerosi martiri (catene, pesi di ferro e pietre), tra cui, come ci dice la tradizione, anche la catena che venne legata al collo di S. Callisto per annegarlo nel pozzo ancora esistente nell’omonima chiesa posta nelle vicinanze.
* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.