Béchara Boutros Raï: "No a intervento in Siria. Strategia 'perversa' in Libano"

Il patriarca maronita denuncia il comportamento irresponsabile dei politici e l’Occidente interessato al mondo arabo debole, con piccoli Paesi fondamentalisti quali serbatoio di tensione permanente

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Nel Medio Oriente, anche il Libano sta vivendo ore febbrili per le eventuali disastrose ripercussioni che un intervento militare in Siria avrebbe sui suoi fragili equilibri di Paese con forti componenti cristiane, sunnite e sciite. Nell’intervista che segue il patriarca maronita, il cardinale Béchara Boutros Raï, tradizionale garante dell’unità del Paese, esprime le sue preoccupate valutazioni sulla situazione libanese, sull’eventuale intervento in Siria, sulla cosiddetta ‘Primavera araba’, sulla stragia occidentale per un mondo arabo debole.  

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Patriarca, è stato sorpreso dal gravissimo duplice attentato di venerdì 23 agosto (45 i morti complessivi), a Tripoli? Oppure si poteva temere che succedesse?

Purtroppo negli ultimi tempi la violenza è notevolmente aumentata e si poteva temere di tutto. Non ci si aspettava però così tanta crudeltà, soprattutto perché le vittime sia degli attentati di Tripoli che di quello precedente di Beirut sono stati bambini, anziani, uomini e donne innocenti che non c’entravano nulla con i conflitti politici. Tali attentati sono legati agli avvenimenti in Siria e al conflitto regionale tra Sunniti e Sciiti.

Si può pensare che gli attentati, prima nel quartiere sciita di Beirut (il più sanguinoso il 15 agosto, con 27 morti) e poi nella città capoluogo del Libano settentrionale, siano espressione di una volontà di far precipitare anche il Libano in una nuova guerra civile?

Certamente dal modo, dal luogo e dal tempo in cui sono stati compiuti gli attentati, emerge chiaramente che gli autori mirano a contrapporre gli Sciiti ai Sunniti e a infiammare la miccia del conflitto civile in Libano. Tuttavia,  grazie a Dio e alla volontà dei cittadini semplici e al loro rifiuto delle guerre e della violenza, questi criminali attentati e micidiali piani non sono riusciti per ora a raggiungere i loro obiettivi. La gente non vuole più guerre, però lo spirito maligno e la volontà del male stanno insidiano ancora tante anime e  tentano sempre di immettervi il seme della discordia. Il Patriarcato sta facendo tutti gli sforzi necessari per giungere ad una riconciliazione sociale tra Sunniti e Sciiti. La riconciliazione politica è invece legata allo sviluppo del conflitto confessionale Sunniti-Sciiti, cioè tra Arabia Saudita (che sostiene i sunniti) e Iran (che appoggia gli sciiti).

La cosiddetta ‘Primavera araba’ è da tempo ormai caratterizzata da sanguinose divisioni interne al mondo musulmano, tra sciiti e sunniti, tra moderati e fondamentalisti. Lei teme che anche nel Libano si stia sviluppando la stessa perversa strategia?

Spero di no, ma gli eventi dimostrano purtroppo che qualche perversa strategia si sta già da tempo provando a imporre sulla piazza libanese. Noi stiamo cercando di far capire a tutti e soprattutto ai nostri politici che le divisioni e il linguaggio della violenza e degli armi non hanno mai risolto i problemi, anzi li hanno sempre maggiormente complicati e a caro prezzo di sangue umano innocente. Li abbiamo sempre invitati a mettersi attorno a un tavolo per discutere insieme e risolvere i problemi con il dialogo tra fratelli e ponendo come priorità il bene comune, la salvaguardia degli istituzioni dello Stato e la pace sociale. Ci stiamo ancora provando. Quanto alla “Primavera araba” non può essere raggiunta mediante la violenza e la guerra. IL Libano della convivialità esemplare tra Cristiani e Musulmani , del pluralismo e del sistema democratico, dovrebbe contribuire alla realizzazione della desiderata “Primavera araba”.

Alcuni Stati dell’Occidente (oltre a qualche Stato arabo) hanno aiutato concretamente sia i Fratelli musulmani in Egitto che gli insorti anti-Assad in Siria. Perché?

Noi temiamo che l’aiuto ai Fratelli musulmani o ad altri gruppi fondamentalisti in Egitto o in Siria sia fatto solo per fomentare interminabili guerre e mettere gli uni contro gli altri a scopo di contribuire, in questo modo, alle divisioni e alla frammentazione dei Paesi arabi e alla creazione di piccole isole di regimi fanatici. Questo piano non solo elimina i Paesi forti dalla mappa del Medio Oriente ma come conseguenza avrà la presenza di piccoli Paesi fondamentalisti  pronti da veri e propri ordigni all’esplosione in qualsiasi momento serva a mantenere la regione in una perturbazione continua senza una pace durevole.

Sarebbe auspicabile oggi un intervento militare internazionale in Siria, analogamente a quello fatto nel 2003 contro l’Iraq da parte di una coalizione guidata dagli Stati Uniti?

Assolutamente no. Sarebbe invece auspicabile che queste grandi potenze cerchino di non mandare armi per stimolare e infiammare le guerre e contribuire al versamento di altre sangue; piuttosto usino il loro peso politico per trovare soluzioni pacifiche che risparmino vittime e distruzioni. Sarebbe auspicabile che tutte le grandi potenze aiutino i Paesi in difficoltà a trovare soluzioni pacifiche ai loro conflitti con il dialogo e i negoziati politici,  invece di preparare interventi militari che non fanno altro che incrementare l’odio dei popoli verso tali grandi potenze, come è stato il caso dell’Iraq, dove abbiamo perso un milione di cristiani su un milione e mezzo. L’Iraq oggi e in balia del conflitto tra Sunniti e Sciiti.

Quali frutti fin qui ha portato la cosiddetta ‘Primavera araba’ ai cristiani del Medio Oriente?

Per ora questa primavera è stata solo un inverno e una notte senza alba, non solo per i cristiani ma anche per tutti quanti. Senza dubbio i cristiani continuano a pagare il prezzo più alto: basta vedere ciò che è successo poche settimane fa in Egitto, (incendi di chiese, massacri di cristiani, sfollamento ed esodi forzati) e l’identico fenomeno è accaduto in Iraq e continua a succedere ora anche in Siria e altrove. Il Medio Oriente che era la culla del cristianesimo si sta svuotando massicciamente di  cristiani, tra tante sofferenze e spesso non senza versamento di sangue.

Lei pensa che i cristiani del Libano, politicamente sempre divisi tra appoggio alla coalizione a guida sunnita e quella a guida sciita, possano finalmente trovare un’unità forte nel cercare di impedire una nuova guerra civile?

Da quando sono alla guida della Chiesa maronita sto cercando, in tutti i modi, di far capire ai politici maroniti che non siamo contro la loro partecipazione alle diverse coalizioni politiche nel Paese, ma che nel contempo devono essere uniti su alcune priorità e principi inalienabili che noi tutti dobbiamo difendere. Dobbiamo tutti essere uniti: in caso contrario sono in gioco la nostra stessa esistenza e la sopravvivenza del Libano stesso. Tra queste priorità figurano ad esempio l’indipendenza del Libano e la sua sovranità, la tutela delle istituzioni dello Stato, la neutralità del Libano, la difesa delle libertà e della vera democrazia, ecc… Senza dubbio i cristiani oggi hanno un ruolo e un dovere da assumere; soprattutto devono essere l’elemento pacificatore fra i due grandi gruppi islamici del Paese, ma non possono farlo finché sono divisi fra di loro.

Perché ha voluto andare a Tripoli domenica scorsa? Come hanno reagito gli esponenti delle comunità religiose sunnita e sciita e il popolo musulmano?

Sono andato domenica a Tripoli per presentare le condoglianze ed esprimere la mia solidarietà ai responsabili sunniti della città e ai familiari delle vittime; lunedì invece ho fatto la stessa visita a Beirut presso gli Sciiti, colpiti dall’altro gravissimo attentato. In tutte e due i casi ho voluto evidenziare la necessità di smettere di versare sangue: basta con la violenza fratricida, siamo tutti figli dello stesso Paese,   dobbiamo vivere insieme in pace, dialogando quando abbiamo divergenze. Non dobbiamo cadere nella trappola di chi vuole il male e la guerra civile, dobbiamo essere solidali anche perché ciò che nuoce all’uno nuoce pure all’altro:
quando uno piange, piange anche l’altro, dato che siamo fratelli. Ho fatto un appello ai politici perché finalmente discutano seriamente sulla formazione del governo. La gente non ne può più del loro atteggiamento sbagliato e irresponsabile: le loro divisioni costituiscono un terreno fertile per gli attentati e indeboliscono gravemente la sicurezza del Paese. 

[Articolo tratto da www.rossoporpora.org]

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Giuseppe Rusconi

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