Il docente di filosofia ha spiegato che i cristiani in Cina sono trenta milioni e, di questi, sei milioni sono cattolici, nonostante il fatto che “professare la fede pubblicamente è difficile, se non impossibile”. Anche se – ha aggiunto – “il fatto che in questo momento non ci sia un’etica predominante in Cina rende molto più attraente la proposta cristiana”.
Secondo il professor Wu, “l’incongruenza di crescita tra economia e spiritualità ha portato ad una ‘Emergenza-uomo’ anche in Cina” e “proprio in virtù delle sfide affrontate dai cristiani cinese, la difficile condizione offre grandi opportunità”.
Il docente di filosofia ha raccontato inoltre che tutta la sua famiglia è cattolica, a cominciare dal nonno che studiò in una missione cattolica e stava pensando di diventare prete. Poi divenne medico. Tutta la famiglia frequentava la messa e i sacramenti. Alla morte del nonno, alcuni familiari entrarono in seminario, mentre Tianyue, cominciò a leggere i testi del predicatore John Bunyan e di Sant’Agostino. Si iscrisse alla facoltà di Filosofia di Pechino dove oggi è tornato come docente.
Difficili gli anni dell’Università dove era problematico anche solo portare un crocifisso al collo. Insieme alla moglie, il professore ha organizzato un gruppo di lettura su San Tommaso. “Nel corso delle mie conversazioni con i ragazzi – ha raccontato – mi sono reso conto che era già stato piantato un seme nel loro cuore, che li avrebbe aiutati a cogliere le sfide di questo momento storico”.
Il docente cinese ha raccontato la storia religiosa della Cina, che contava numerose religioni primitive già nel secondo millennio prima di Cristo. Il cattolicesimo arrivò in Cina, nel 1582, con il padre gesuita Matteo Ricci, il quale era così apprezzato dall’imperatore e dalla classe dirigente, da essere l’unico occidentale la cui tomba si trova nella “Città proibita”.
Il servo di Dio Matteo Ricci, matematico, geografo, astronomo, tradusse in cinese importanti opere di scienza e mantenne ottimi rapporti con i massimi rappresentanti del confucianesimo. L’opera di Ricci fu continuata dal gesuita Martino Martini, il quale ottenne da Papa Alessandro VII di accettare, sia pure con riserva, che i cinesi convertiti al cristianesimo potessero continuare i loro riti per i morti e per Confucio senza essere scomunicati. Fu poi l’imperatore Kangxi, che governò la Cina dal 1654 al 1722, ad emanare un decreto di libera predicazione del cristianesimo.
I padri gesuiti erano convinti che per favorire la diffusione del cristianesimo in Cina bisognava inculturarlo cercando di operare una frattura con i riti e la cultura locale, mentre i padri francescani e domenicani erano di parere diametralmente opposto. Si arrivò al 1713 quando, con la bolla “Ex illa die”, Papa Clemente XI respinse i tentativi di inculturazione rifiutando ogni mediazione con i riti cinesi. Nel 1742 con la bolla “Ex quo singulari”, Benedetto XIV proibì ogni discussione sui riti cinesi.
La soppressione della Compagnia di Gesù, avvenuta nel 1773, favorì le componenti anticattoliche cinesi, cosicchè gli imperatori Yongzheng e Qianlong limitarono la libertà di predicazione del cristianesimo. Nel 1939 il servo di Dio Papa Pio XII tolse i divieti e consentì ai cattolici cinesi la partecipazione ai riti tradizionali. Ma di lì a poco nel 1949 con l’avvento del comunismo iniziarono le persecuzioni. Nel 1957, in seguito al rifiuto dell’autorità del Papa di Roma nacque la Chiesa Patriottica Cinese. Oggi è il governo cinese che nomina i Vescovi.
In questo contesto, sono significative le parole che il professore Tobias Hoffmann, docente di Filosofia medievale alla Catholic University of America, ha pronunciato in apertura dell’incontro: “Per meglio capire la cultura e il pensiero occidentale, dobbiamo capire come i filosofi e gli uomini di cultura dell’Oriente vivano e testimonino la cristianità nel loro contesto sociologico”.