Uno dei maggiori economisti del secolo passato, John Kenneth Galbraith, riflettendo sulle previsioni degli economisti e, più in generale, sui forward guidance, scriveva: “La sola funzione delle previsioni in campo economico è quella di rendere persino l’astrologia un po’ più rispettabile”.
Questo è ciò che sta accadendo da metà del luglio scorso in Europa. È bastato che l’Eurostat rilasciasse la notizia che, dopo sette trimestri consecutivi in contrazione, il PIL dell’Eurozona segnasse un +0,3% rispetto alle previsioni degli economisti, che l’euforia si diffondesse nell’area euro in maniera del tutto irrazionale. Difatti le previsioni degli economisti prevedevano l’uscita dalla recessione nel 2014.
Da un certo punto di vista è comprensibile, considerando che stiamo vivendo la più lunga e devastante crisi dell’epoca moderna, più dura in termini assoluti di quella del 1929. Tuttavia si tratta di un ottimismo irrazionale. Una prima osservazione: la cifra del miglioramento economico in Europa riguarda le condizioni congiunturali, non quelle strutturali che invece continuano a peggiorare. Dell’aggravarsi dei dati strutturali nessuno in Europa può considerarsi immune, neanche la Germania. Un recente studio del Fondo monetario ha dimostrato come le imprese tedesche blocchino gli investimenti anche in Germania nel momento in cui cresce il clima di sfiducia sulla foward guidance dei paesi dell’area Euro, soprattutto quelli più grandi o vicini.
Nella primavera passata, nove mesi dopo che il governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, aveva annunciato che avrebbe difeso l’euro dalla speculazione con strumenti ordinari e straordinari (firewall), le imprese tedesche hanno ripreso ad investire, approfittando anche del basso costo del credito. In tre mesi gli investimenti hanno fatto aumentare la produzione industriale di oltre il 10%.
Un altro elemento congiunturale riguarda poi la rotazione della liquidità dagli Usa e dal Giappone verso l’Europa. La montagna di liquidità virtuale emessa a getto continuo dalla Banca Centrale degli Stati Uniti e dalla Banca Centrale del Giappone, alla ricerca di remunerazioni interessanti, ha ridotto gli spread dei paesi deboli dell’Europa, nel secondo trimestre 2013.
Per trasformare l’andamento congiunturale in strutturale bisognerebbe consolidare l’integrità dell’area euro. Purtroppo il miglioramento viene continuamente vanificato dalle condizioni strutturali dei paesi euro.
Tutti i paesi, dalla Germania all’Italia, sono o sotto elezioni o politicamente instabili, e questo clima d’incertezza sta rendendo difficile politiche solidali e comuni. I processi di riforme strutturali interne ed europee hanno bisogno invece di un clima favorevole per poter essere applicate. Purtroppo nessuno dei fattori strutturali è migliorato: idebiti pubblici continuano ad aumentare e la restrizione del credito all’economia reale continua. Se è vero che gli spread sui titoli sovrani si sono ridotti, questi benefici non si trasmettono al credito delle imprese e famiglie.
Il rapporto tra capitale e attività delle banche europee rimane molto squilibrato, a ciò si aggiunge che la “guerra” delle valute vede un euro sopravvalutato e quindi maggiori difficoltà per le imprese che esportano extra euro. Altro grande problema è il numero drammaticamente spropositato di disoccupazione a cui va aggiunto quello dei lavoratori flessibili e precari che ritraggono un’economia globale in rallentamento che non lascia ben sperare.
Ad aggravare i fattori strutturali contribuisce il mancato rafforzamento politico dell’euro area che fa addirittura passi indietro. Solo la BCE di Draghi – nonostante tutte le contrapposizioni della Bundesbank (Banca Centrale tedesca) e dell’intera classe politica tedesca – con la sua politica monetaria espansiva, è l’unica istituzione attiva sul versante del progetto comune europeo. Le altre istituzioni sono bloccate dagli interessi nazionalistici e da una cultura del cortotermismo.
Mancano politici con una grande visione del prossimo futuro: Adenauer, Bech, De Gasperi, Hallstein, Monnet, Schuman, Spaak, Spinelli, solo per citarne alcuni. La reputazione politica è fondamentale per dare fiducia ai popoli nelle istituzioni europee e per accettare i sacrifici. Una classe politica europea responsabile, dovrebbe mettere all’ordine del giorno la non sostenibile disoccupazione, la crescita delle diseguaglianze, il risanamento delle banche, oltre a drenare i flussi monetari verso i paradisi fiscali intra Europa e sostenere programmi d’investimento che sono al lumicino. Invece il messaggio dato ai cittadini europei e ai mercati è che, dopo il fallimento della Grecia e di Cipro, i paesi più deboli dell’area euro saranno chiamati a rispondere in prima persona per gli errori commessi da classe politiche incapaci.
La parola solidarietà è stata e viene usata senza nessun contenuto. La politica di bilancio europea continua in maniera ottusa a seguire l’ideologia dell’austerity, anche se in misura minore rispetto agli anni passati. Il problema dell’Europa, in sostanza, è uno: un grave ritardo di adeguamento strutturale al mondo e all’economia globale e ai criteri di una società giusta e ben ordinata.