Federico Caffè: "Com'è statico il precariato"

Un articolo firmato dal grande economista italiano, il 21 gennaio 1986, a pochi mesi dalla misteriosa scomparsa

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Concludiamo con questo terzo articolo (i precedenti pubblicati il 4 ed il 5 agosto su ZENIT) apparso su “L’Ora” di Palermo, l’approfondimento sull’economista Federico Caffè attraverso la proposizione integrale di alcuni suoi interventi più divulgativi che trattano i temi del lavoro, del precariato e delle retribuzioni.Anche questo scritto è tratto dal libro “Contro gli incappucciati della finanza” edito da Castelvecchi e curato da Giuseppe Amari, che raccoglie gli articoli scritti da Caffè nel periodo 1974 – 1987 su “Il Messaggero” di Roma e “L’Ora” di Palermo. 

Caffè, al quale è intitolata la facoltà di Economia della Università Roma Tre, con queste parole si indirizzava ai suoi studenti a conclusione del corso di politica economica,  riportate nella prefazione di Amari: “L’invito che vi rivolgo è quello di rimanere sempre vigili; non cedete mai agli idoli del momento, alle frasi fatte, a quelle convenzionali, ma esercitate sempre la vostra valutazione critica, riflettete con il vostro pensiero e capacità intellettuali che vi derivano dall’aver frequentato queste lezioni”. 

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E’ difficile comprendere quale funzione credano di assolvere i politici con responsabilità governative, allorché invitano i giovani, desiderosi di crearsi un avvenire personalmente e socialmente valido, a “inventarsi un lavoro”. Ancora più difficile è comprendere in qual modo si possa approvare un provvedimento come “il decreto legge n. 561 che prevede agevolazioni finanziarie per la promozione e lo sviluppo della imprenditoria giovanile nel Mezzogiorno”, sia pure con la collaborazione benemerita delle Camere di Commercio, intenzionate a fornire informazioni e assistenza.

Se ai buoni propositi si unisce non un pregiudizievole spirito scettico, ma un consapevole atteggiamento realistico, non può tacersi che a un “libro dei sogni” dall’alto è venuto a sostituirsi un “libro dei sogni” dal basso. L’auspicio, ovviamente, è che tutto proceda nel migliore dei modi.

Ma occorre, soprattutto, la salvaguardia di una implacabile trasparenza. Se i resoconti che sovrabbondano sulla situazione del Paese vogliono corrispondere a un intento che non si limiti a quello di procurare un fatturato, sarebbe indispensabile che almeno uno di essi si accollasse il meritorio compito di indicare puntualmente le domande pervenute per usufruire dei benefici in esame, con le generalità complete dei richiedenti: le ragioni dell’eventuale rifiuto e quelle che giustificano l’erogazione del denaro pubblico. Nel tempo, dovrebbero poi essere forniti gli estremi del successo o dell’eventuale crisi delle cooperative finanziate.

Allorché si leggono le cifre strabilianti di coloro che intendono partecipare ai concorsi per un numero limitato di “posti fissi”, si pensa che questo sia dovuto a una deformazione di mentalità da correggere. Indubbiamente, come in ogni cosa, vi è una parte della verità. Ma non tutta. E’ stato giustamente osservato che i giovani di oggi, inclusi numerosi diplomati e non pochi laureati, si sono ormai, di necessità, abituati ad attività di lavoro di carattere precario e discontinuo.

Non è l’inclinazione ad affrontare il rischio dell’iniziativa o di modificare la sfera di attività che manca. E’ – occorre esserne consapevoli e cercare di porvi rimedio – la mancanza di fiducia sulla obiettività delle procedure che consentono l’accesso anche alle attività rischiose e precarie. Per questo, è necessario che chiunque possa controllare tali procedure, dall’inizio ai risultati ultimi.

Vi sono documenti, come il volume terzo della “Relazione generale sulla situazione economica del Paese”, volume dedicato al “Lavoro e Previdenza sociale” che, così come è, con il suo carattere ripetitivo di dati e informazioni già noti da altre fonti, è di utilità necessariamente limitata. Se questo volume si adattasse alle mutevoli esigenze del Paese, se fornisse le notizie tutte di questo auspicato movimento di imprenditorialità giovanile mediante valide cooperative, potrebbe gradualmente attenuare il diffuso e, purtroppo, giustificato atteggiamento di sfiducia, di cui occorre tener conto, anche qualora esso vada oltre il segno.

L’edificazione di un movimento è fatto di casi singoli. Nella mia esperienza di insegnante osservatore dei fenomeni economico-sociali, ho conosciuto il fulgore delle cooperative bolognesi (per l’esecuzione di lavori stradali, per la gestione di mense e caffetterie e altre attività).

Esse rendevano evidente sia la dignità sicura dei lavoratori, sia l’opera di sostegno organizzativo che vi era sottostante. Ho conosciuto altresì, la furente mortificazione di giovani cooperatori laziali, che avevano visto frustrate tutte le loro attese per il mancato allacciamento di acqua, indispensabile per fornire l’umidità necessaria all’attività cui si erano dedicati. Si tratta, ripeto, di casi singoli. Ma chi ha conosciuto il disperato furore dei giovani laziali delusi dall’indifferenza ovunque incontrata, dal disinteresse altrui per problemi che per loro erano esistenziali, che altro può dire se non insistere perché non ci si limiti a predicare, occorre dirlo con una buona dose di cinismo, che i giovani debbono “inventarsi un lavoro”?

All’invito, perché non si risolva in delusione, va accompagnata una assistenza che non è fatta unicamente di denaro, ma comporta comprensione e attenzione. Ci si renderà conto sempre troppo tardi che il denaro “non conta”, se non con l’ausilio di una efficace assistenza tecnica. A questa, non al primo, rimane affidato che la speranza non si traduca in rabbia.           

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Antonio D'Angiò

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