ROMA, venerdì, 19 ottobre 2012 (ZENIT.org) - Riportiamo di seguito l'omelia di monsignor Lorenzo Leuzzi, delegato per la Pastorale Sanitaria, vescovo ausiliare di Roma e titolare di Cittanova, in occasione della celebrazione eucaristica per i medici nella festa di San Luca di ieri, nella Basilica di San Giovanni in Laterano.

***

Cari amici,

sono molto contento di celebrare per la prima volta nella Basilica di S. Giovanni con voi e per voi la festa di S. Luca, patrono dei medici. E’ un momento da me molto atteso per l’importanza che esso assume nella pastorale della Salute della Chiesa di Roma.

Guidati dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato vorrei condividere con voi, all’inizio del mio ministero episcopale, alcune riflessioni per proseguire con sempre maggiore creatività e fiducia nel servizio che il Signore vi chiede di svolgere per il sollievo della sofferenza dei nostri fratelli.

Il Vangelo di Luca ci ricorda la chiamata dei 72 discepoli, inviati ad annunciare la buona novella del Vangelo.

Questa sera il Signore Gesù chiama ciascuno di noi a condividere la sua stessa preoccupazione: la messe è abbondante, ma gli operai sono pochi. Il mondo attende il Vangelo, ma l’annuncio che il Regno di Dio è vicino è affidato a noi che questa sera riascoltiamo l’invito del Signore.

Non è difficile rendersi conto che la messe è abbondante. Basta pensare alle tante strutture sanitarie di Roma nelle quali voi vivete per accorgersi di quanto bisogno ci sia della presenza del Signore. Quanti sono gli uomini e le donne che non conoscono il Vangelo e lo hanno dimenticato.

A questi fratelli che incontriamo quotidianamente nelle corsie, negli ambulatori, nelle case, il Signore manda ciascuno di noi. Forse, dobbiamo esserne consapevoli, abbiamo dimenticato che il Signore ha scelto ciascuno di noi. Forse ci siamo sentiti piccoli, incapaci. Forse ci siamo sentiti soli, come ci ha ricordato Paolo nella prima lettura.Titolare di Cittanova Ausiliare di Roma

Questa sera tutti insieme dobbiamo riscoprire la fiducia che il Signore ha verso ciascuno di noi, personalmente , chiamandoci per nome.

C’è un aspetto che talvolta può impedire la nostra risposta generosa e pronta alla chiamata del Signore.

E’ la preoccupazione di dover guarire sempre! Si è diffusa la mentalità che l’intervento sanitario si valuta per l’efficacia della guarigione e non per la cura che si è manifestata nella prestazione. Tutti, giustamente, chiedono di essere guariti, ma il medico sa che ciò non sempre è possibile. La cultura sanitaria è stata profondamente alterata da pressioni ideologiche che nulla hanno a che fare con la professione medica.

Tante richieste di intervento sanitario sono velleitarie e prive di ogni riferimento al bene della persona. Il medico deve sì guarire, ma sempre nella prospettiva della cura, perché solo la cura apre la strada alla difesa della dignità della persona umana che non viene a mancare mai di fronte alla malattia, alla sofferenza e alla morte.

Permettetemi un ricordo personale. Durante gli anni di specializzazione il prof. Angelo Fiori, mio maestro, insegnava la distinzione tra medicina ippocratica e medicina ideologica. Oggi possiamo davvero definire le sue parole profetiche: nella società contemporanea è prevalente l’idea di una medicina ideologica, mentre va scomparendo quella della medicina ippocratica. La prima, quella ippocratica, si prende cura del malato; quella ideologica pretende di guarire sempre.

La distinzione per voi medici non è soltanto terminologica o funzionale. Ma è esistenziale, coinvolge la vostra esistenza di uomini e donne chiamati a servire i fratelli nella professione medica. E’ la scelta è radicale: essere medici che si prendono cura o che guariscono.

Chi di noi non si accorge che il servizio ricevuto è fatto con cura e non solo efficace? Tutti lo vorremmo. Ma molte volte anche noi, come pazienti, chiediamo l’efficienza terapeutica e non la cura, perché anche nei pazienti si è diffusa la convinzione che se non c’è guarigione la prestazione sanitaria è inutile; anzi molti sono pronti ad esprimere giudizi talvolta poco lusinghieri verso gli operatori sanitari.

Cari amici,

impegnarsi oggi nella cura dei fratelli è la più grande sfida per tutti voi, per tutta la Chiesa. Non esiste il Vangelo della guarigione, come non esiste il Vangelo dei miracoli.

Luca, ce lo ha ricordato: è la vicinanza di Dio il grande annuncio che ciascuno di noi deve recare ai fratelli. “In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa”. Potremmo tradurre così l’invito di Gesù: quando arriva un fratello che ha bisogno di una prestazione sanitaria; prima digli: La Pace sia con te. E’ questo il segno con cui mostrerai che hai scelto di essere strumento e segno della cura di Dio.

Il Dio di Gesù Cristo ha scelto una strada diversa da quella della medicina ideologica. Ha scelto di curare sempre, perché sulla Croce si è impegnato a non abbandonare mai l’uomo che soffre. Per questo ci chiama a collaborare e ci invia. Se Dio avesse deciso di risolvere i problemi da solo, non ci sarebbe spazio per il vostro servizio sanitario.

In ogni incontro tra il medico e il fratello che chiede un intervento sanitario si realizza un evento nel quale si rivela il mistero dell’uomo. Da questo incontro può dipendere il futuro della sua esistenza, perché nella sofferenza, come ho scritto nella mia lettera agli ammalati, l’uomo può scoprire se stesso nella sua verità più profonda, perché la illumina nella sua globalità, di fronte a Dio e ai fratelli.

Il Signore Gesù questa sera vuole poter contare su di voi, per passare di casa in casa, di reparto in reparto, di ambulatorio in ambulatorio, per curare gli uomini e le donne della nostra città. Ma anche la Chiesa si affida a voi, perché attraverso la vostra presenza possiate testimoniare la sollecitudine di tutte le comunità ecclesiali verso i fratelli sofferenti.

Non siamo soli. Paolo, parlando della sua esperienza missionaria, ci conferma che il Signore non gli ha mai fatto mancare il suo sostegno. Anche per noi non verrà mai meno la forza dello Spirito Santo se saremo docili e semplici strumenti del prendersi cura di Dio verso i nostri fratelli.

Così sia!