PADOVA, sabato, 20 ottobre 2012 (ZENIT.org) - La parabola secolarizzante del mondo occidentale non sembra aver scalfito la religiosità popolare. Anzi, ne ha ridefinito la sua espressione e reso ancor più convinta la partecipazione dei suoi protagonisti. Su questo e su altri aspetti di questa importante realtà si è dibattuto a Padova, durante un convegno che ha radunato nella città di sant’Antonio studiosi e ricercatori provenienti dall’Italia e dall’estero. Il tema: «La religione popolare nella società post-secolare. Nuovi approcci teorici e nuovi campi di ricerca».

L’incontro di studio, ospitato presso lo Studio Teologico della Basilica del Santo, è stato promosso da Università di Padova, Associazione italiana di Sociologia della religione (Ais), «Messaggero di sant’Antonio» e Osservatorio Socio-Religioso Triveneto. «L’interesse di questo convegno sulla religiosità popolare – ha esordito il professor Luigi Berzano, dell’Università di Torino, coordinatore nazionale della sezione Sociologia della religione (Ais) – è quello di andare oltre le tradizioni di studio fino a oggi prevalenti introducendo il concetto di “generatività” dei beni della religione popolare».

Ci si chiede, infatti: che cosa può ridare oggi nuovo fascino, valore e significato a un santo, a una basilica, a una festa, a un sacro monte e altro? «Si tratta – ha ricordato – di un orientamento che non fa più riferimento alle precedenti concezioni della religione popolare quale residui del passato, forme pittoresche di un religioso inautentico; e nemmeno, come sostiene  Gramsci, solamente alla religione delle classi subalterne. La “generatività a cui ha fatto riferimento il Convegno richiama piuttosto «la religiosità popolare – ha concluso Berzano –  quale ripresentazione, trasformazione, quasi un avatar o rinascita della religione di sempre».

La lettura sociologica, secondo il professor Carlo Prandi, della fondazione “Bruno Kessler” di Trento, osserva la modernità che, se sta all’origine della crisi del sacro, ha peraltro prodotto nuove esperienze religiose (dove il riferimento alla trascendenza è assai variegato e complesso, se non talora assente) che si sono espresse in una miriade di movimenti. «La  Religione popolare – ha aggiunto - sembra aver risposto all’urto di questa ondata neo-religiosa non estinguendosi, come prevedevano le teorie della secolarizzazione, bensì adattandosi in modi diversi alla perdita del proprio monopolio».

La religiosità popolare persiste nelle società  contemporanee a modernità multipla, come ha ricordato Enzo Pace, dell’Università di Padova, parlando de “La religiosità popolare nelle società avanzate”. «La religiosità popolare – ha sottolineato – costituisce un elemento fondamentale della relazione fra un sistema di credenza (religiosa) organizzato ed esperto, e i diversi ambienti socio-religiosi con i quali un sistema interagisce continuamente, nel tempo e nello spazio sociale.

Ciò che convenzionalmente continua essere chiamato religioso popolare costituisce l’eccedenza di senso che un sistema di credenza non riesce a ricondurre entro i propri codici simbolici; tale eccedenza è presente nell’ambiente, sotto forma di strati sociali di credenza la cui memoria è più lunga di quella del sistema stesso; la religione popolare, da questo punto di vista, non è altro che il credere incantato prima che diventi credenza organizzata”. 

Per questo, ha continuato Pace, nello scarto fra sistema e ambiente, il religioso-popolare intercetta il sacro esteticamente.  «In società esposte agli stimoli visivi, auditivi, tattili, anche il sacro diventa massa; appare senza volto, ma proprio per questa sua anonimità –  ha aggiunto –, esso si offre come un consumo individualizzato, che i sistemi di credenza, nella loro pretesa universalità, non riescono appieno e sempre a garantire».

Alessandro Castegnaro,  presidente dell’Osservatorio Socio-Religioso del Triveneto, nel suo intervento, intitolato “In che senso popolare. Note di una ricerca” si è soffermato invece sui risultati di una ricerca campionaria condotta tra i pellegrini che nel febbraio 2010 si sono recati a Padova, ad esprimere la loro devozione a sant’Antonio, in occasione dell’ostensione del corpo del Santo.

L’indagine demolisce un certo stereotipo di pellegrino: i pellegrini sono più e non meno istruiti della media della popolazione. L’analisi delle ragioni della visita e delle rappresentazioni del Santo fa inoltre ritenere che vi sia stata una evoluzione nelle forme della devozione popolare che ridimensiona le motivazioni di tipo magico.

Ed è stato proprio in occasione del Convegno sulla “Religione popolare nella società post-conciliare” che è stato presentato, durante una conferenza stampa, il libro Toccare il divino. Lo strano caso del pellegrinaggio antoniano, a cura dello stesso Alessandro Castegnaro e di Ugo Sartorio, direttore del «Messaggero di sant’Antonio».

«Il pellegrinaggio antoniano – hanno sottolineato i curatori del volume – analizzato nell’indagine e nelle riflessioni che gli fanno corona, evidenzia come la religiosità popolare non è traccia residuale di un passato che si sta spegnendo, bensì segno di percorsi antichi ma capaci di rigenerarsi entrando in relazione con le domande dell’uomo contemporaneo, e in grado di indicare una via lungo cui abbeverarsi alla sorgente, lì dove il divino rifulge, seduce e rimette in movimento la vita».