La fede è seguire subito Gesù lungo la strada

Vangelo della XXX Domenica del Tempo Ordinario

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, giovedì, 25 ottobre 2012 (ZENIT.org).

Eb 5,1-6

Ogni sommo sacerdote, infatti, è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo..

Mc 10,46-52

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”.

Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!”. Chiamarono il cieco, dicendogli: “Coraggio! Alzati, ti chiama!”. Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E il cieco gli rispose: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”. E Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.”.

Nella prima catechesi del nuovo ciclo dedicato all’Anno della fede, Benedetto XVI sembra commentare il miracolo narrato da Marco nel Vangelo di oggi.

Dice il Papa: “..avere fede nel Signore..è un cambiamento che coinvolge la vita, tutto noi stessi: sentimento, cuore, intelligenza, volontà, corporeità, emozioni, relazioni umane” (Benedetto XVI, Udienza Generale, 17 ottobre 2012).

Quanto al messaggio di ciò che Gesù ha fatto al cieco Bartimèo, Marco conclude così:“E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada” (Mc 10,52). Colui che un tempo ci vedeva, torna subito a vedere e subito segue Gesù lungo la strada.

Gesù sta uscendo da Gerico, lungo la strada che sale verso Gerusalemme superando un dislivello di mille metri. Egli è fermamente deciso ad andare incontro al suo destino di morte, sapendo che il Padre lo ha mandato a compiere l’opera della riconciliazione di tutto il genere umano con Dio.

Inizia perciò qui quella ‘elevazione’ da terra mediante la quale Gesù attirerà a sé tutti gli uomini, riconciliandoli con Dio (Gv 12,37).

Nel raggio di tale attrazione cosmica si trova Bartimèo, come dimostra il fatto che egli non indugia a seguire subito il Signore verso Gerusalemme, nonostante la gran gioia che lo porterebbe a rimanere a Gerico per far festa.

Come Paolo lungo la via di Damasco, Bartimèo è folgorato dalla luce della fede, e non può far altro che obbedire ad essa seguendo Gesù lungo la strada. La fede in Gesù permette così a Bartimèo di vedere meglio di tutti quelli che seguono il Maestro, non certo per condividere il suo destino pasquale. 

Sì, perché“con la fede cambia veramente tutto in noi e per noi, e si rivela con chiarezza il nostro destino futuro, la verità della nostra vocazione dentro la storia, il senso della vita, il gusto di essere pellegrini verso la patria celeste” (Benedetto XVI, Udienza, 17 ottobre 2012).

Ripercorriamo adesso a ritroso il cammino del cieco Bartimèo.

Prima di mendicare per non dover morire di fame, le sue relazioni e i suoi sentimenti probabilmente erano quelli di un normale pio israelita, con una casa, un lavoro, una famiglia.

Perdendo la vista, Bartimèo precipita nel buio e perde tutto. Gli rimane solo la vita fisica. Su tutto il resto: “sentimento, cuore, intelligenza, volontà, corporeità, emozioni, relazioni umane” (id.), il destino traccia crudelmente il segno incrociato della cancellazione.

Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”: affranto ed umiliato, Bartimèo grida, ma non fa’ pietà a nessuno, anzi disturba la gente che lo rimprovera: “Molti lo rimproveravano perché tacesse” (Mc 10,48).

I poveri, infatti, disturbano. Il loro ‘grido’ esistenziale (la mite richiesta di una mano aperta, o il bicchiere di carta per terra) disturba la nostra coscienza, perché non siamo disposti a perdere tempo per ascoltarli ed aiutarli. Quando però qualcun altro lo fa, allora diventiamo accoglienti anche noi per il fatto che costui ‘provvidenzialmente’ interviene a cavarci d’impaccio, e allora è facile alla nostra ipocrisia far mostra di disponibilità.

Vediamo così che appena Gesù fa chiamare Bartimèo, quelli che prima lo rimproveravano, ora lo esortano: “Coraggio! Alzati, ti chiama!” (Mc 10,49).

Le grida di un uomo angosciato non possono lasciare indifferente Gesù, venuto a mendicare l’amore imperfetto degli uomini per poterlo scambiare con l’Amore infinito del Padre. Egli infatti “è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza” (Eb 5,2).

Di quale debolezza parla la Lettera agli Ebrei se non di quella del cieco Bartimèo?

Nelle grida angosciate e fiduciose di Bartimèo, Gesù riconosce l’eco di quelle “forti grida e lacrime” con le quali cercherà di “impietosire” il Padre nell’orto degli ulivi, affinché gli risparmiasse il calice della passione.

Sì, anche Gesù verrà esaudito mediante la risurrezione, ma morirà inascoltato e abbandonato.

E il motivo è che il Figlio di Dio doveva imparare la legge inesorabile dell’umana debolezza, per la quale “sentimento, cuore, intelligenza, volontà, corporeità, emozioni, relazioni umane” (Benedetto XVI, 17 ottobre 2012) vacillano e crollano sotto i colpi del dolore.

L’annuncio di Bartimèo è allora questo:

Intorno a noi può esserci il buio e l’oscurità, e tuttavia vediamo una luce: una piccola fiamma, minuscola, che è più forte del buio apparentemente tanto potente e insuperabile. Cristo, che è risorto dai morti, brilla in questo mondo, e lo fa nel modo più chiaro proprio  là dove, secondo il giudizio umano tutto sembra cupo e privo di speranza. Gli occhi di chi crede in Cristo scorgono anche nella notte più buia una luce e vedono già il chiarore di un nuovo giorno. La luce non rimane sola. Tutt’intorno si accendono altre luci. Sotto i loro raggi si delineano i contorni dell’ambiente così che ci si può orientare. Non viviamo da soli nel mondo. Proprio nelle cose importanti della vita abbiamo bisogno di altre persone. Così, in modo particolare, nella fede non siamo soli, siamo anelli della grande catena dei credenti. Nessuno arriva a credere se non è sostenuto dalla fede degli altri e, d’altra parte, con la mia fede contribuisco a confermare gli altri nella loro fede. (Veglia con i giovani, Germania, 24 settembre 2011).

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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